2001: Odissea nello spazio. Ci siamo!

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di Pina Paone

Potenti e arroganti, i mass-media hanno invaso la nostra vita. Pensare e riflettere? Non se ne parla proprio: hic et nunc, qui ed ora. Lo voglio e lo prendo; non è disponibile, non mi occorre: è questa la logica della società attuale. É scomparsa l’attesa, quel tempo necessario e prezioso che consentiva la riflessione individuale, che motivava e dava vita all’immaginazione, pregustando l’oggetto del nostro desiderio. Non si investe più in impegno e fatica, considerati, un tempo, i presupposti per raggiungere i traguardi più importanti della nostra vita. Abbiamo un’infinità di scorciatoie a disposizione, percorsi brevi e semplici, preconfezionati per noi da altri. C’è solo l’imbarazzo della scelta, ma deve essere un’operazione immediata, senza pensare, perché altri, nello stesso momento, stanno compiendo anch’essi la propria scelta. Basta un click e puoi accedere a tutto ciò che ti serve: cose e persone. Anche i rapporti personali nascono in pochi secondi e, senza vivere la fase della costruzione, si sgretolano altrettanto in fretta. Non resta traccia, non ci sarà memoria.

Nel mare magnum dell’informazione e della comunicazione, si è atrofizzata la capacità di selezione. Tutto e il contrario di tutto. Offerte gonfiate e fuorvianti.

É quanto sostiene una delle più brillanti tesi: ogni nuova tecnologia esercita su di noi un’attrattiva molto influente, fino al punto di ipnotizzarci, di ridurci in uno stato di “narcisistico torpore”. Se non abbiamo gli anticorpi intellettuali adatti, questo capita appena ne veniamo in contatto, e ci porta ad accettare, come assiomi assoluti, le assunzioni non neutrali intrinseche in quella tecnologia. Se invece riusciamo a evitare di esserne fagocitati, possiamo guardare quella tecnologia dall’esterno, con distacco, e a quel punto riusciamo non solo a vedere con chiarezza i principi sottostanti e le linee di forza che esercita, ma anche i mutamenti sociali diventano per noi un libro aperto, siamo in grado di intuirli in anticipo e (in parte) di controllarli.

Internet sta cambiando davvero il nostro modo di pensare?

Era l’anno 1982, Friedrich Nietzsche aveva poca vista e gli risultava faticosissimo scrivere, mantenendo a fuoco gli occhiali sul foglio. Soffrendo di lancinanti mal di testa, si decise ad acquistare una macchina da scrivere, precisamente una Malling-Hansen Writing Bal. Una volta imparata la posizione delle lettere sulla tastiera, scriveva anche ad occhi chiusi e le parole continuarono a zampillare dalla sua mente verso le pagine. Dopo un certo periodo di tempo, un suo grande amico osservò che era cambiato il suo stile. Notò che la sua prosa, già notevolmente asciutta, era divenuta estremamente compressa. Decise di scrivergli: “Può essere che con questo strumento ti abitui ad un nuovo idioma?”

“Hai ragione, la nostra macchina da scrivere partecipa alla formazione dei nostri pensieri”, rispose Nietzsche.

Ma ce l’ha detto anche Marshall McLuhan, il sociologo canadese, che a partire dai primi anni ’50, ha legato la sua notorietà ad una singolare ed innovativa interpretazione degli effetti prodotti dalla comunicazione, sia sul singolo individuo che sull’intera società. L’idea di fondo delle sue teorie sosteneva che, in una società, la struttura mentale delle persone e la cultura siano influenzate dal tipo di tecnologia di cui tale società dispone. In sintesi, il mezzo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione produce effetti pervasivi sull’immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell’informazione propagata. Da qui la sua celebre argomentazione, secondo la quale “il medium è il messaggio”.

Tutti insieme, appassionatamente, nel “Villaggio globale”. Ma il prezzo pagato è stato altissimo: abbiamo perso lo spazio di quiete, riempendolo solo di contenuti, il più delle volte, superficiali e non sempre corretti, sacrificando quella articolata densità interna ad ogni essere umano, tempio della personalità, dell’educazione, dell’espressione creativa, del pensiero critico.

“2001: Odissea nello spazio”, film di Stanley Kubrick, presentato al pubblico il 3 aprile del 1968.

Una scena struggente ed indimenticabile…

“Dave, fermati. Fermati, per favore. Fermati, Dave. Ti fermi, Dave? La mia mente mi sta abbandonando. Me ne sto rendendo conto. Lo sto sentendo”.

Nel film, le persone erano diventate simili alle macchine, tanto che il carattere più umano risultava essere proprio la macchina.

Forse, dovremmo ascoltare l’implorazione di Hal 9000. Fermarci.

Venuta al mondo in casa, in una piovosa domenica di novembre, grazie ad un’ostetrica che aveva appena festeggiato il suo 90° compleanno. Docente da sempre, criminologa per passione, mediatore per incrementare lo stipendio dello Stato, artista per talento naturale, ma è ancora alla ricerca di un’occupazione seria e, per questo, non ha mai smesso di studiare. Dotata di una tenacia notevole, non abbandona mai ciò che intraprende, costi quel che costi. Tralasciando i 1001 difetti, è spudoratamente leale ed onesta. Sensibile ed estroversa, alterna brevi periodi di terapeutico isolamento, per sopravvivere in questo mondo corrotto e dominato quasi esclusivamente dall’interesse. Maleducati, prepotenti e presuntuosi devono tenersi a distanza di sicurezza. Detesta tutto ciò che è artefatto, la follia tecnologica e il febbrile consumismo.