Abolire l’art.18 : Demansionamento, controllo a distanza e depressione economica.

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“Dobbiamo guardarci dai falsi profeti e maestri che certamente fuorvierebbero gli uomini, incoraggiandoli ad attenersi alla “via spaziosa” invece di cercare la “porta stretta”. In qual modo riconosceremo noi quei falsi profeti? Gesù dice: Voi li riconoscerete dai frutti loro, appunto come l’albero si riconosce dal frutto che produce.” (Matteo 7:15-20).

Eliminare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori vuol dire infierire un duro colpo ai diritti conquistati dai lavoratori a loro tutela. Con l’introduzione della lettera C, comma 1, art.4, che dà la possibilità all’azienda di modificare le mansioni di un dipendente, si introduce il “demansionamento”, vietato dall’art. 2103 del c.c.!
Col demansionamento si afferma la licenza di degradare il lavoratore dopo una vita di fatiche per migliorarsi. 
Così come la lettera “D” dell’art.4 prevede la “revisione dei controlli a distanza” andando a ritoccare il divieto di utilizzare strumenti audiovisivi per il controllo a distanza del lavoratore, contravvenendo alla tutela della dignità e della riservatezza. Questa violazione elementare dei diritti della persona viene da quegli stessi politici indignati di fronte alle intercettazioni telefoniche della magistratura.


La legge 300 del 20 maggio 1970(Statuto del Lavoratori) è la “Dichiarazione d’Indipendenza” dei lavoratori: le libertà civili e democratiche non possono essere sospese sui posti di lavoro, dove impera le legge del padrone!
Con l’introduzione della “tutela crescente del lavoratore”, questi in realtà viene rottamato, in quanto l’azienda ha più convenienza a liberarsi del lavoratore che ha più scatti di anzianità es assumere giovani malpagati e mal tutelati.
Non ne parliamo poi del licenziamento senza giusta causa che sarà consentito anche a quelle aziende che superano i 15 dipendenti.
Scandaloso è l’abolizione del reintegro nel posto di lavoro, in caso di licenziamento senza giusta causa, con la sostituzione di un’indennità economica proporzionale all’anzianità di servizio!
Col licenziamento facile, i contratti in realtà diventeranno tutti “a tempo determinato”.
Già! Determinato dal datore di lavoro!
Questo aumenterà la precarietà che è correlata alla disoccupazione. In realtà la “flessibilità nel rigore” è un’idea maturata in seguito all’incontro a Bruxelles tra Renzi e la Merkel.
A Bruxelles sembra che sia passata l’idea che l’ammorbidimento del rigore fiscale avverrà man mano che la Commissione Ue riscontrerà il grado di avanzamento delle “riforme”.
Ma di quali riforme si tratta?
Quale modello sociale ed economico disegnano?
Che significa l’ossimoro di Renzi “togliamo le garanzie dell’art.18, ma garantiamo la sicurezza ai precari?”
All’epoca del governo Monti, l’allora giovane ministro Renzi, aveva detto ”lo statuto non si tocca”.
La precarietà mette di fronte al senso di impotenza, alla paura di perdere la sicurezza, che porta a regredire.
La precarietà genera dipendenza dall’ambiente, come se non si percepisse più la capacità di incidere su di esso; accresce l’insicurezza, il senso di disorientamento, di smarrimento.
La precarietà ha come effetto la riduzione del consumo che aumenta la disoccupazione, col calo dei consumi stessi.
In questo modo si toglie potere al lavoratore e quindi si calpesta la sovranità popolare.
Così, su indicazione della BCE e della Commissione, oggi si propone una nuova ricetta: l’ulteriore flessibilità dei contratti di lavoro.
I contratti precari da un lato possono indurre le imprese a crescere posti di lavoro in una fase di espansione economica, ma dall’altro consentono alle aziende di distruggere facilmente quegli stessi posti di lavoro nelle fasi di crisi.
Così, tra creazione e distruzione dei posti di lavoro, l’effetto complessivo risulterà nullo!
A chi fa comodo il jobs act?
Ci sarà un ritorno alla schiavitù?
La colpa della frenata della crescita in Italia e dell’alto tasso di disoccupazione non sarà da imputare all’art.18?
Certo che no!
Assolutamente non lo è perché la sua applicazione non interessa tutti i lavoratori ed è già stato superato con la riforma Fornero; perché le scelte di assunzione delle imprese sono motivate dalle aspettative di profitto(dinamica della domanda aggregata) e non dalla “rigidità” della normativa a tutela dei lavoratori; perché non è la deregolamentazione del mercato del lavoro ad accrescere l’occupazione.
Non è sottraendo diritti ai lavoratori che si esce dalla recessione, ma si riduce solo ulteriormente il potere contrattuale dei lavoratori, con compressione dei salari, dei consumi e della domanda interna.
A chi è venuta in mente l’idea che ridurre i salari monetari implichi una riduzione del costo del lavoro per unità produttiva?
Non è così che si risolve la questione “riduzione costo del lavoro”!
Quale effetto produce sulla domanda? La risposta è fin troppo ovvia!
L’altra novità e quella di distribuire il 50% del proprio TFR in busta paga.
Bello! 
Si finge di aumentare lo stipendio con i soldi del lavoratore stesso!
Idea geniale! 
Si tolgono risorse all’impresa che così non può investire per crescere.
Ma di quanti soldi stiamo parlando?
Già dal 1 gennaio 2015 i lavoratori che guadagneranno 1.500,00€ lordi potranno vedere lievitare le loro buste paga di 55,00 euro in più; soldi sottratti al TFR del lavoratore stesso!
Se questo accadrà si creerà un buco di circa 3 miliardi l’anno nelle casse dell’INPS(che già versa in condizioni precarie) che andrà coperto; di contro, per la collettività delle imprese, sarebbe controproducente nel lungo periodo, con conseguente decrescita dell’economia italiana.
“Il rottamatore dell’art.18 sta rottamando ciò che considera vecchio e lo fa manipolando abilmente il dizionario della politica e quel particolare dizionario politico che è il dizionario della democrazia!”
Innovare vuol dire apportare novità, non cancellare i diritti acquisiti!
“L’abolizione dell’art.18 è la fase di un’importante trasformazione antropologica richiesta dall’ideologia neoliberista per l’ulteriore trasformazione del cittadino soggetto di diritti in puro homo oeconomicus (che non deve avere diritti), il cui unico dovere è quello di adattarsi. Un homo oeconomicus che non contesta più la razionalità, la modernità e l’innovatività del capitalismo; in nome dei superati e vecchi diritti uguali per tutti!”

‘A dignità

…Se murtifica ogni juorno
‘a dignità
‘e chesta ‘ggente;
cu quatte lire
s’accordane ‘e perzone
comme fossero pezziente!

Se cancella chella “Carta”
Ca se chiamma “Libertà”!

‘A dignità che d’è?

Chesta parola
mò è sule ‘na cosa “vecchia”,
‘na cosa ca nun serve,
‘na cosa ‘a cancellà!

Il "Domenicale News" fondato e diretto da Pasquale D'Anna nel 2011, nasce dall'idea e dai bisogni di un gruppo di persone che attraverso il giornale e l'Associazione culturale Kasauri, editrice dello stesso, concretizzano la voglia e l'aspirazione di un desiderio di informazione libera, indipendente e generalista. Resta immutata la volontà di rivolgerci ad un pubblico che dalle idee è incuriosito perchè "Il Domenicale" è soprattutto frutto di una idea.