Ad un Corona, a volte, bisognerebbe saper rinunciare.

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Se il buongiorno si vede dal mattino, quando durante l’esame di maturità chiamò un professore “ciccione e omosessuale” – episodio che gli costò la bocciatura – il percorso di Fabrizio Corona apparve essere già tracciato.

“Mi sono comprato la patente con i soldi vinti al Casino di Cannes”, pare abbia dichiarato. E da lì, una lunga “carriera” costellata di scandali, ricatti, aggressioni, truffe, denunce per praticamente tutto, condanne, evasioni rocambolesche.

Nel 2015, dopo una mobilitazione mediatica, gli appelli in lacrime della madre e la richiesta di grazia al Presidente Mattarella, a Fabrizio Corona vengono concessi  la scarcerazione e la sospensione della pena per motivi di salute, nonché l’affidamento in prova ai servizi sociali presso la comunità Exodus di don Mazzi.

“In carcere non ci tornerò più”, dichiarò, raccontando di aver subito violenze e soprusi.

Ma questa è storia, veniamo ai giorni nostri.

In questo anno e mezzo – e per verificarlo basta digitare sui motori di ricerca poche parole chiave – Corona è stato ospite a manifestazioni, sfilate, feste private, eventi.

Il suo cachet, per presenziare dovunque lo richiedessero, poteva arrivare fino a 38.000 euro, da consegnarsi in contanti e rigorosamente “in nero”. Demagogico precisare che in Italia per guadagnare una cifra così una persona normale deve farsi il mazzo per un anno e mezzo, se non due? Banale ricordare che i comuni mortali hanno un socio occulto, lo Stato, a cui versano in tasse almeno un terzo dei loro guadagni?

Ah certo. Corona, Fabrizio, non si è mai considerato una persona “normale”.

“Ho creato un impero” mi rispose piccato una volta, quando gli chiesi come si sentisse ad essere “noto” per il fatto che molti lo consideravano un esempio da non seguire.

E’ di nuovo in carcere, Corona. A seguito di una perquisizione, sono stati rinvenuti, nascosti nel controsoffitto della casa della sua più fedele collaboratrice, qualcosa come 1,7 milioni di euro, in buste bianche con su scritto la cifra che contenevano. Roba che se lo scrivo in cifre devo star lì a contare gli zeri, perché non li ho mai visti e mai li vedrò. Lui li ha “guadagnati” in un anno e mezzo.

Perché ha una bella faccia? Perché è stato a letto con Belen? Perché la gente paga per stare nello stesso posto dove Corona (lautamente retribuito) appare per una mezz’oretta, senza avere neppure una bella voce – che almeno uno dice “beh, ha cantato una canzone” – , o il talento della poesia, o che ne so, doti da cabarettista che lo metti su un palco, ti racconta due barzellette e almeno quando se ne va ti resta la sensazione che è simpatico?

Quando, dopo poco più di due anni di carcere, iniziò la lamentela di quanti non trovavano giusto che, fra tutti i delinquenti che ci sono in Italia, non era giusto che Corona fosse l’unico a pagare, ricordo di aver pensato che nel Paese che vorrei, avrebbero pagato Corona e tutti gli altri. Che sarebbe stato giusto far cadere Sansone e tutti i filistei.

Lo penso ancora.

Sono migliaia i personaggi dello spettacolo che per comparsate, mini show, presenze ad eventi vari, richiedono il pagamento cash. Molti aggirano i versamenti dell’IVA con un sistema di fatture false. Non ci vogliono geni della finanza per fare dei controlli, per verificare che il “sistema” funziona così.

Che resti in carcere, Corona. E che don Mazzi si faccia i… mazzi suoi, visto che era affidato a lui.

Basta con il buonismo.

Basta con la filosofia del “chiudiamo un occhio”, dell’abbozziamo, del “tanto lo sanno tutti”.

Se quello di Fabrizio era un impero, è giunto il momento di abdicare.

Ad un Corona, a volte, bisognerebbe saper rinunciare.

Al Domenicale con entusiasmo da più di un anno, dopo il banco di prova con Paralleloquarantuno. Giornalista per passione, scrive di tutto quello che la entusiasma, predilegendo i temi dell’ambiente e della cultura. Classe ’71,buddista, due figli, nel tempo libero cucina e gioca a burraco. Se dovesse descriversi con una sola parola, sceglierebbe “entusiasmo”, anche se si definisce un’anima in pena. Scrivere le è indispensabile: si firma #lapennallarrabbiata, e questo è il suo modo per denunciare ingiustizie e dare voce ai sentimenti che vive, come tutto quello che la riguarda, con un coinvolgimento totale.