“… e io pago…” (cit.Totò)

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Abbiamo letto e sentito molte volte che la crisi economica è dovuta alle speculazioni bancarie ed ai titoli finanziari in perdita, per cui, stagnando la circolazione monetaria  si procura recessione. Abbiamo sentito parlare di “derivati” tossici e debito pubblico.

Si ma da che è dovuto questo debito? E’ poi vero che le banche sono in deficit? E’ possibile riportare il tutto alla famosa frase: “nulla si crea e nulla si distrugge”, per cui la ricchezza passa solo di mano?

Ebbene, cerchiamo di dare alcune risposte.

Pochi sanno che il Ministero del tesoro ha stilato, da anni, contratti di “derivati” con lo scopo, presunto, di diminuire il debito pubblico, ma che ha sortito l’effetto opposto. Ma cosa sono questi contratti di derivati? Dal 2004 ne sono stati firmati trentatre ma, fortunatamente, al 2011 si sono ridotti a tredici. Questi contratti, fatti con le maggiori banche mondiali, fungono come un’assicurazione per coprire i rischi di fluttuazione degli interessi sugli investimenti.

Cioè, sintetizzando: se gli interessi, che fluttuano secondo il mercato finanziario mondiale, superano il 5% il contraente del contratto, in questo caso lo Stato, percepisce un introito, ma se detti interessi rimangono al di sotto del 5% è lo stato che paga la differenza alle banche con cui hanno stilato il contratto. Questi contratti possono avere una validità anche da 20 a 30 anni. Tra l’altro, alcune clausole “capestro” rendono ancora più problematico uscirne. Dal 2004 al 2011, fortunatamente ne abbiamo annullati venti. Come ha riferito la responsabile della Direzione del debito pubblico, D.ssa Maria Cannata, dopo varie interrogazioni parlamentari. La Dirigente ha fornito, tra l’altro, delle notizie alquanto parziali, giustificando il tutto con l’obiettivo di ridurre il debito  pubblico.

Ma è sensato che uno Stato speculi su queste operazioni finanziarie non di sicuro effetto positivo, anzi a forte rischio, quasi rasentando l’azzardo? E’ la domanda che si è posta Rita D’Ecclesia, docente di Finanza  Quantistica alla Sapienza di Roma e  Asset Princing al Birkbeck di Londra. Analizzando solo cinque contratti tra quelli più importanti, si nota che su un valore sottoscritto di 159.586 milioni di euro, abbiamo una perdita annuale di 42.064 milioni. Cifra non da poco. Non è necessario essere economisti per sapere che da oltre 10 anni gli interessi non hanno mai superato il 5%. Basta un minimo di conoscenze bancarie per dedurre che scommettere su questo superamento sarebbe stata una perdita sicura. Senza considerare che in piena crisi nel 2011, alcuni contratti sono stati sostituiti con altri di maggiore rischio.

Allora la domanda sorge spontanea, diceva un noto attore napoletano in “Quelli della notte” di Renzo Arbore: è lecito ipotizzare il reato di collusione tra banche ed elementi del Ministero del Tesoro? Su questa domanda sta indagando la Procura di Roma, anche a seguito dell’esporto dell’Adusbef. Ma i giudici si sono trovati davanti al segreto di stato. Il giurista Patroni Griffi si pone altre domande: E’ stato calcolato correttamente il rischio? Era giustificato o troppo speculativa quasi a gioco d’azzardo? Non vi è risposta da parte dello Stato. E’ possibile che per combattere il terrorismo e la mafia è stato tolto il segreto di stato mentre per i reati finanziari non lo è ancora? La stessa risposta vale per la legge contro questi stessi reati finanziari. Quindi “cogito ergo sum”, pertanto se ne deduce, non a torto: la diretta collusione ipotizzata in precedenza tra Stato e banche.

(fonte: articolo de “L’Espresso” n° 11 del 19/03/2015)