Il Giorno della Memoria corta

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Ci apprestiamo all’ennesima inutile ricorrenza: il cosiddetto Giorno della Memoria.
Si celebra il 27 gennaio di ogni anno come giornata in commemorazione delle vittime dell’Olocausto. 
In questo giorno si celebra la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio 1945 ad opera delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa.
Ho avuto la fortuna di avere una maestra elementare che non mi ha permesso di scordarlo mai il genocidio perpetrato dalla Germania nazista e dai suoi alleati nei confronti degli ebrei d’Europa e lo sterminio nazista verso tutte le categorie ritenute “indesiderabili” che causò circa 15 milioni di morti in pochi anni. 
Ci portava immagini, disegni, ricordi dei sopravvissuti ai campi, ci leggeva libri e testimonianze. Ed anche in casa, i miei genitori me ne hanno sempre parlato: la memoria come antidoto al ripetersi di queste atrocità. E non una memoria imposta, a comando, fatta di fiocchi neri o scarpe rosse o frasi di circostanza o film ripescati per l’occasione e trasmessi fino allo sfinimento. Ma una memoria condivisa davvero, presente, reale, impossibile da insabbiare. Una memoria che è dovuta, assolutamente,  a questo popolo e a queste minoranze sterminate dalla ferocia e dall’ignoranza.


Ma crescendo ti rendi conto che il ricordo, la memoria non sono serviti a nulla. Che quelle atrocità di ripetono continuamente, in mille forme, con numeri diversi, con vittime diverse, ma dalla solita ignobile mano: l’ignoranza.
Perché è lei, l’ignoranza, la mano che spinge le masse ad uccidere con ferocia. E’ sul branco ignorante che fa presa la difesa esasperata dell’appartenza ad un credo religioso o politico o ad una etnia. Quando invece, chi muove le fila dei conflitti è spinto solamente da interessi puramente economici: il controllo di un territorio, il petrolio, l’acqua, la vendita di armi.
Non serve andare lontano nel tempo o nello spazio e ricordare che le vittime, come spesso accade, si sono trasformati  in carnefici, che in troppe nazioni, anche europee, abbiamo assistito e assistiamo continuamente ad altri olocausti.
Basta restare qui, in Italia. Guardare in Tg, sfogliare un quotidiano o aprire un social per vedere il sapiente e paziente lavoro dell’ignoranza sulla massa. Si cerca un colpevole, si punta il dito, si ritira la mano e si lascia fare alla gente assetata di odio e vendetta. Vano benissimo due ragazzine o il tifo calcistico avversario, i rom, gli immigrati purché ci si possa sfogare e poi lavarsi la coscienza con la maglietta o la foto profilo di Charlie Hebdo, guardare un film sull’olocausto o indossare un fiocchetto rosa. Sono distrazioni, questi nemici, queste giornate della memoria. Ci distraggono da chi ci porta via lavoro, libertà, benessere e futuro ogni giorno. Da chi vende armi e poi dice di essere contro la guerra. Da chi dice di lavorare per combattere la povertà e poi affama il proprio Paese e sfrutta le risorse degli altri.
La memoria è un’altra cosa. La memoria ha bisogno di coerenza e continuità. La memoria ha bisogno di rispetto e intelligenza. Ha bisogno di essere allenata, rinfrescata e vissuta in ogni gesto e parola. Nei confronti degli immigrati che sbarcano a Lampedusa come del vicino di casa che chiede una mano.
La memoria non ha bisogna di gesti eclatanti, ha bisogno di quotidianità. E quale memoria ci possono propinare i nostri governi che sono i primi responsabili di tante tragedie? Non voglio ricordare perchè, in un qualche modo, me lo impone lo stato o la comunità europea, senza poi agire mai di conseguenza. Voglio ricordare perché è responsabile e doveroso. E lo voglio trasmettere a mio figlio.
Non credo alle vostre giornate, meno di tutto, credo a questa.

Classe 72, torinese e profondamente torinista e anti-juve. Convinta notav, amante della satira e della comicità. Scrivere è tutto quello che vorrebbe fare da grande.