La città dei mestieri

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La città dei mestieri

L’altra sera, in assemblea, ho incontrato un caro collega, del mio stesso settore, un imprenditore molto capace, che vende stoffe da mezzo secolo.

Mi ha confessato: ma come è possibile che qui da noi non viene più nessuno?

Forse non siamo  più bravi a fare questo lavoro?

Amico mio, il mondo intorno a noi è cambiato velocemente e noi non siamo stati sufficientemente pronti a cavalcare l’onda…

 

Ora siamo in risacca, ma la prossima onda non ce la faremo sfuggire.

Molti di noi vivono ancora nel ricordo di quelle domeniche piene di lavoro; non c’era un posto per il parcheggio e si tornava a casa in pomeriggio inoltrato per il pranzo domenicale, quasi ad ora di cena; oppure quando i bus dei clienti russi, che arrivavano a centinaia ogni settimana, ti svuotavano i depositi e pagavano in dollari, freschi di conio che profumavano di stampa.

No, quel  tempo è finito e non tornerà mai più, come l’acqua di un fiume che scorre sempre ma non è mai  la stessa.

Non è che il CIS non attrae più , o noi non siamo più buoni a commerciare.

No, assolutamente No!

 

Il fatto  è che il sistema di transazione commerciale all’ingrosso è cambiato tanto radicalmente nell’ultimo decennio, da farci apparire inutili ed obsoleti.

Chi non ha visto in tempo il cambiamento, distratto dal nuovo mondo della finanza che prometteva l’Eldorado facile, facile, ha dichiarato che il commercio all’ingrosso è finito, morto e sepolto.

E allora Voi volete credere ad un cieco che non riesce più vedere oppure volete provare a guardare Voi stessi con i vostri occhi, dentro le cose di Casa Nostra?

 

Scusatemi, ma che siete venuti a fare nella Terra di Giordano Bruno trent’anni fa, lasciando dopo quasi un millennio Piazza Mercato, il Porto, la città più bella e viva del mondo oppure quel Mercato brulicante di San Giuseppe Vesuviano, dove non c’era spazio nemmeno per camminare a piedi?

Siete forse venuti a Nola per costruire capannoni e ricollocarli?

Siete venuti per fare impresa insieme e non mi pare che lo stiamo facendo più da un po’ di anni.

Seguitemi un momento in questo percorso, venite a vedere, ragioniamoci un po’ insieme, non lo facciamo più da tanto tempo, quasi non ci conosciamo più!

 

Da sempre la nostra forza è stata l’offerta commerciale dal pronto, l’assortimento, la qualità ed il gusto delle scorte, la capacità  di finanziare il cliente.

Queste esigenze della clientela sono mutate? 

No! Anzi sono aumentate; mentre la distribuzione al dettaglio è mutata profondamente.

Le piccole aziende di famiglia, che costituivano l’ossatura portante del commercio al dettaglio, sono state decimate dal proliferare dei  centri commerciali, che però, dopo un’esplosione di consenso, cominciano ad avvertire i primi segnali di rigetto.

La gente cambia, cede al moderno ma poi riscopre il valore dell’umanità dei rapporti, e ricerca quello che aveva abbandonato.

 

Si riscoprono i centri commerciali naturali, quelli delle nostre città, del centro storico, dei paesi, dei borghi e ritorna la cultura del ricordo, delle tradizioni, dei mestieri.

Noi siamo  stati veramente bravi a creare, quanto sciagurati a distruggere tutto in un baleno: strutture industriali, distretti, artigianato e piccolo commercio, un’intera filiera economica e produttiva, e poi siamo pronti a lamentarci di tutto e di tutti, escludendo sempre la nostra responsabilità personale.

 

Con l’emigrazione in oriente della maggior parte della produzione  tessile, non si può parlare più di Made in Italy, ma di Stile in Italy, perché tutto ci possono togliere, tranne la capacità di pensare con gusto italiano, coltivato nelle tradizioni secolari che stanno in ogni angolo, anche il più remoto, delle nostre fabbriche, delle nostre botteghe, nelle officine sartoriali, nei laboratori dei pellettieri o in quelli delle calzature, nei piccoli opifici di produzione per conto terzi.

Sapete quante centinaia di piccoli confezionisti ho visto chiudere, gente in gamba, creativa.

Non esistono più migliaia di sarte e di sarti che nel nostro territorio hanno fatto la storia della sartoria italiana nel mondo.

 

Ecco perché questo è il nostro tempo, proprio questo è il nostro tempo, quello del grossista che diventa converter, organizzatore della produzione, creatore di stile italiano, depositario di gusto italiano, erede povero di un mondo che fu grande ed ebbe un primato nel mondo.

Questo dobbiamo organizzare noi, gli ultimi della filiera della moda, noi mercanti e figli di mercanti.

Questo è il nostro tempo, la nuova occasione dell’onda di ritorno.

Abbiamo il CIS che l’idea geniale di un uomo della nostra terra, un’idea che ci ha consegnato, fra mille errori, una realtà innegabile; dite quello che volete, ma il Cis e l’Interporto stanno là e sono due occasioni straordinarie per il nostro territorio

 

Ora tocca a noi cogliere l’onda, non ci sono scuse.

Ma il mercato dov’é?

I nostri clienti non ci sono più!

Errore grave, i nostri clienti stanno in giro per il mondo, sono migliaia e migliaia, bisogna scovarli ed esiste un solo mezzo, una sola magia, che può far questo, quella che ha spostato i limiti della conoscenza: Internet.

Internet è lo strumento, il veicolo; la lingua inglese è l’autista, noi vecchi, il navigatore, la nostra merce è il prezioso bagaglio e poi tanta, tanta determinazione da parte dei giovani, come quella che mettevano i nostri padri per andare a fare le fiere, partendo di casa alle quattro del mattino, oppure emigrando nelle Americhe per vendere stoffe.

Lo fece mio padre, dopo la guerra, partí con la nave per il Venezuela. 

Mio padre Umberto, con il fratello Damiano, si trasferirono a Caracas per vendere stoffe che i fratelli spedivano dall’Italia al loro zio d’America, Giovanni Caiazzo, un fratello della nonna, che aveva fondato una ditta grossista di tessuti in capo al mondo, Giocatex.

 

Oggi si va per fiere in tutto il mondo e quando mio figlio Alfredo e mio nipote Domenico sono andati a Dubai a vendere velluti nel deserto, io ho pensato a mio padre, alla continuità del lavoro e dell’impegno che solo i giovani possono garantire.

Ecco perché Vi ricordo spesso che per costruire il futuro ci vogliono i giovani, che siano addestrati al mestiere, istruiti e volitivi.

 

Voglio condividere con Voi la mia esperienza nell’ultimo tratto della mia vita professionale.

Quando scomparve mio fratello Renato, aveva appena 48 anni, mio figlio Alfredo, fresco di laurea con lode in economia, venne a farmi compagnia in azienda a Nola per sostenermi in un momento difficile.

Non sapeva distinguere un satin da uno chiffon, né una flanella da un fresco di lana, mischiava la lana con la seta, eppure mi rompeva l’anima con mille domande, voleva capire con l’umiltà di un apprendista.

E poi venne mio nipote Alfredo, un bel ragazzo che poteva fare l’attore, con un paio di occhiali da sole inforcati sulla chioma corvina.Un pezzo di pane, ne ha avuto ” cazziate”, ora potrebbe dirigere un’azienda, tanto è completo e preparato.

E poi è venuto mio nipote Domenico, da bambino lo chiamavo il barzellettiere, ed è talmente bravo nei rapporti con i clienti di tutta Italia che lo chiamano dal Veneto alla Calabria, Sicilia esclusa perché quello é il regno di Alfredo.

E poi è venuto mio nipote Vincenzo, il dottore in economia, ma quando è arrivato ha dovuto riprendere gli studi perché era richiesta pure la laurea del marciapiedi e in quel caso aveva qualche difficoltà.

 

Ci voleva un insegnante di sostegno e ci ha pensato Peppe, uno della vecchia guardia che aveva cominciato tanti anni fa nei vicoli del mercato, il nostro sergente istruttore della Marina!

E poi abbiamo preso un ragazzo di 18 anni, Silvio, che avevo conosciuto su F.B. mentre vagavo tra i siti delle sartorie e degli stilisti per vedere come si muove il mio mondo.

Lo presentava la madre, sotto mentite spoglie, ma parlava tanto bene di questo ragazzo, che poteva essere solo lei, ma diceva la verità: è un ragazzo d’oro.

Sapete di questi giovani preziosi ce ne sono tanti, magari portano l’orecchino e noi vecchi non li riconosciamo.

Ma che direste di me se andassi in giro ancora con quei ridicoli pantaloni alla zuava che immancabilmente bucavo alle ginocchia, giocando a pallone a Piazza Mercato, quando scappavamo, inseguiti dalla camionetta del vicino Commissariato, di lato alla Basilica del Carmine.

 

Dei “vecchi ragazzi” che hanno cominciato con me a Nola nel 1986, quando ogni mattina sembrava di affrontare un viaggio e mosche e zanzare ci affliggevano nei capannoni deserti, di quei “vecchi” vi ho già segnalato il sergente di ferro, quel rompiscatole di Peppe, poi c’è Nino, la memoria storica, il razionale, l’ordine, una colonna della ditta e poi Salvatore, un dono di famiglia, l’eterno giovane, buon gusto e grande soavità nei contatti con i clienti più esigenti, ed in ultimo il primo dei miei giovani, quasi adottato da ragazzino, Francesco, un jolly con grandi qualità umane e professionali.

 

Questi sono i miei ragazzi, questa è la mia squadra, in dieci anni si è raddoppiata, è cresciuta con l’azienda, non lavora più con la clientela di presenza, ma non ha un momento libero.

Telefono, fax, email, internet, WhatsApp; la mattina c’è un traffico enorme non si capisce niente.

Sai mi serve questo, mi serve quest’altro…

Consultate il sito, ci sono tutte le cartelle colori degli articoli di magazzino,  i disegni stampati, i ricami, tutto quello che vi serve, non è una magia, é Internet: il nostro magazzino ha le ali e vola dove c’è qualcuno che aspetta quella stoffa per lavorarla perché diventi un pezzo di artigianato.

Sembriamo dei pazzi che giocano a lavorare e forse un poco è proprio vero!

 

Questo per dirvi che la formazione degli addetti, a qualsiasi livello, è essenziale, ma il messaggio sarebbe inefficace se non Vi convincerete che il commercio all’ingrosso non è mai finito, anzi è più vivo e vegeto di prima, bisogna smettere di cercarlo dove non c’è più. 

Ha cambiato casa, oggi si traveste da organizzatore della produzione e distributore di merci e servizi.

Si, ma non vi date troppe arie, sempre mercanti siamo, ma non vendiamo solo stoffe o accessori, ma un modo di esistere, vestiamo il tempo che passa ed accompagniamo i ricordi più belli.

 

La prossima volta Vi farò qualche proposta, magari ci incontriamo, mangiamo un panino insieme e parliamo del nuovo CIS, quello dei nostri figli.

Mettiamo insieme stoffe, vestiti, maglie, scarpe, borse ed accessori e facciamo un unico canale di transazione della moda che passa da Nola.

Vuoi vedere che inventiamo la città dei mestieri?

Che ne dite se la nuova società si chiamasse 

“La città dei mestieri”? 

Ed il simbolo?

Solo un bel punto, chiatto, chiatto, ma solo, solo e tutto intorno uno spazio bianco enorme da colorare con la nostra fantasia.

È questa fantasia è autenticamente ” Made in Italy by CIS “

Il "Domenicale News" fondato e diretto da Pasquale D'Anna nel 2011, nasce dall'idea e dai bisogni di un gruppo di persone che attraverso il giornale e l'Associazione culturale Kasauri, editrice dello stesso, concretizzano la voglia e l'aspirazione di un desiderio di informazione libera, indipendente e generalista. Resta immutata la volontà di rivolgerci ad un pubblico che dalle idee è incuriosito perchè "Il Domenicale" è soprattutto frutto di una idea.