La Pastiera napoletana non è un dolce: è una poesia

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Misteri affascinanti e curiose leggende accompagnano questo dolce partenopeo, di origini molto antiche, ma se c’è una cosa su cui mette d’accordo tutti è il suo unico, prelibato ed inconfondibile gusto.

Armonia di profumi e tripudio di colori.

Troviamo la sua forma primitiva nelle focacce rituali, usate dalle sacerdotesse di Cerere, durante le feste pagane, per celebrare la vita nascente, all’arrivo della primavera.

Secondo una versione più recente, pare sia stata una suora sconosciuta che, dopo aver mescolato alla ricotta una manciata di grano, l’uovo, canditi e spezie provenienti dall’oriente, aggiunse all’amalgama il succo delle arance profumate, raccolte nel giardino del convento. E, in effetti, in alcuni documenti, c’è testimonianza che le suore di San Gregorio Armeno, nei giorni prossimi alla santa Pasqua, preparassero un gran numero di pastiere, destinate alle tavole dei nobili.

Un’esplosione di colore e sapore che fu commissionata anche dal re Ferdinando II di Borbone, riuscendo così a strappare un sorriso alla consorte, Maria Teresa d’Austria, soprannominata, appunto, “la regina che non ride mai”.

Un’altra storia, quella che ci piace più di tutte, narra che la sirena Partenope avesse scelto come sua dimora il Golfo di Napoli e da qui deliziava i cittadini con il suo mieloso canto. E, proprio per ringraziarla dei suoi melodiosi gorgheggi, la gente le portava dei regali.

A dire il vero, i doni erano sette, come le meraviglie del mondo, attribuendo a ciascuno di essi, un “sentimento” ben preciso:

la farina costituiva il simbolo della ricchezza;

la ricotta rappresentava l’abbondanza;

le uova, simbolo di riproduzione;

il grano cotto nel latte raffigurava l’armonia tra flora e  fauna;

i fiori d’arancio portavano i profumi della terra campana;

le spezie rendevano omaggio ai popoli lontani;

lo zucchero, per rendere ancora più dolce il canto della sirena.

Nell’accogliere tutti questi doni nelle proprie mani, Partenope li amalgamò e, senza rendersene conto, diventò la creatrice della prima Pastiera.

E’ singolare anche il fatto che non venga proposta mai una ricetta esclusiva, perché ogni famiglia e laboratorio ha, al suo interno, un “alchimista pasticciere”, portatore sano della propria ricetta, che custodisce gelosamente, pensando di essere in possesso della migliore interpretazione possibile.

Ecco perché la Pastiera non è un dolce.

 E’ ‘na poesia!

 

Venuta al mondo in casa, in una piovosa domenica di novembre, grazie ad un’ostetrica che aveva appena festeggiato il suo 90° compleanno. Docente da sempre, criminologa per passione, mediatore per incrementare lo stipendio dello Stato, artista per talento naturale, ma è ancora alla ricerca di un’occupazione seria e, per questo, non ha mai smesso di studiare. Dotata di una tenacia notevole, non abbandona mai ciò che intraprende, costi quel che costi. Tralasciando i 1001 difetti, è spudoratamente leale ed onesta. Sensibile ed estroversa, alterna brevi periodi di terapeutico isolamento, per sopravvivere in questo mondo corrotto e dominato quasi esclusivamente dall’interesse. Maleducati, prepotenti e presuntuosi devono tenersi a distanza di sicurezza. Detesta tutto ciò che è artefatto, la follia tecnologica e il febbrile consumismo.