L’Avaro dei Carmenauti

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di Margherita de Rosa

Ancora una volta il teatro: stavolta però parliamo di teatro cosiddetto “amatoriale” ma che nulla ha da invidiare a quello “ufficiale” quando trova registi e interpreti validissimi, come la prof.ssa Carmela Giacometti, che da anni si occupa di regia e che ha raggiunto negli ultimi tempi l’optimum, cimentandosi in classici “partenopeizzati”, si passi il termine, in maniera eccellente ed esilarante quale “L’Avaro” di Moliere, messo in scena la scorsa domenica, presso il teatro Gelsomino di Afragola, dai suoi “Carmenauti”, compagnia storica a cui si è aggiunto dallo scorso anno, in qualità di straordinario protagonista, l’impareggiabile prof. Silvestri, che fa della recitazione un momento di comunicazione spontanea, mai affettata, arricchita dalla sua naturale verve di uomo brillante e quindi di attore di classe, che ha all’attivo, oltre ad anni di teatro, anche la recente partecipazione ad un film.

Insomma un mix veramente vincente, che nulla ha da invidiare alle compagnie di professionisti ed il merito è sicuramente della eccezionale prof.ssa Giacometti, che, attenta ad ogni particolare, ha saputo fare della grande performance “molierana” un pezzo di vero teatro napoletano, nella più nobile accezione del termine. Il tema dell’avarizia poi trova sempre il suo spazio, in ogni epoca ed in ogni luogo, rivelando sfaccettature dell’animo umano ingiustificabili eppure esistenti e difficili a mutarsi.

L’avaro, nella finzione scenica, è colui che non riesce ad inquadrare la sua vita se non nell’ottica del risparmio, dell’accumulare danaro per poi farne prestiti ad un interesse usuraio; ma al di là dello specifico, chi è l’avaro? Cos’è l’avarizia?

Ecco che, come sempre, il teatro offre spunti di riflessione, che ci consentono, sia pure goliardicamente, di prendere atto dei nostri molti vizi e della scarsissime virtù. Generalmente, il termine sembrerebbe indicare qualcosa di tollerabile, della serie: << va beh, che vuoi che sia, è un po’ tirchio, ma comunque è una brava persona>>; bene, sicuramente essere parsimoniosi è cosa buona e giusta, ma quando l’oculatezza diventa eccessiva, non è raro che s’ imparenti con l’aridità d’animo, la sordità spirituale, l’incapacità di farsi altro da sé…quindi, se siamo misurati e “risparmiosi” nella vita pratica nessuno può criticarci oltremodo, ma se questo atteggiamento esteriore dovesse rivelare un interiore vuoto, da riempire, certo, con il danaro, ma soprattutto con il soddisfacimento del proprio egoismo, ebbene, allora si tratterà di vera e propria patologia, una malattia del cuore tipica di che vive solo per sé, un sé concretizzato nei beni materiali, un sé immemore della propria umanità e, quindi, dell’umanità altrui, alla quale sbarra ogni porta perché in lui non c’è spazio che per se stesso: ecco l’avaro, quello vero, che è quasi un cancro della società e nella condizione in cui siamo oggi non è fuor di logica affermare che “pochi” avari di tal guisa hanno tra le loro mani il destino di “tanti” uomini, costretti alla povertà dal loro egoismo, dalla loro sete di potere, dal loro aver venduto l’anima al dio denaro, dimenticando che tutto, ma proprio tutto, sarà banale ricordarlo, si lascia su questa terra, mentre si porta nel cuore il sorriso di colui al quale hai teso la  tua mano per dargli aiuto, concreto o morale che sia, riconoscendo in lui un tuo simile, te stesso, la tua umanità: riusciranno mai a guardare in tale prospettiva gli “avari” del terzo millennio? Chissà…

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