L’Ospedale degli Incurabili, un viaggio tra scienza, arte e mistero

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Nel tufo, scolpita nei libri di pietra, nella magia degli oscuri rifugi occultati e bistrattati, è scritta la storia di Napoli.

Ed è proprio sull’antica collina di tufo di Capo Napoli, l’Acropoli greca, ritenuta da molti studiosi la tomba della Sirena, che sorge il nosocomio partenopeo “Santa Maria del Popolo degli Incurabili”.

Meraviglia insuperata del rococò-barocco, ancora oggi in attività, l’ospedale Incurabili è considerato luogo d’élite scientifica nella storia della medicina, con la sua Farmacia settecentesca, capolavoro dell’età illuministica.

Cinquecento anni di vita napoletana racchiusi in una struttura ospedaliera.

L’Ospedale fu fondato dalla nobildonna catalana Maria Longo, nata Requenses, andata in sposa appena quindicenne a Giovanni Longo, funzionario di Ferdinando II d’Aragona. Affetta, dalla nascita, da una grave forma di artrite reumatoide, nel 1516, si recò in pellegrinaggio al santuario della Santa Casa di Loreto, per implorare la grazia della guarigione: rifiorita, fece voto di consacrare la sua vita alla cura degli infermi.

Siamo tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, anni di grande fervore ecclesiale per Napoli, dove giunsero molte personalità della vita religiosa dell’epoca: da Gaetano Thiene a Bernardo Ochino, da Juan Valdes a Giampietro Carafa (futuro papa Paolo IV), da Ettore da Vernazza a Giacomo della Marca, a Girolamo Seripando; ma, anche notevoli presenze femminili: da Maria Longo, appunto, a Vittoria Colonna, da Giulia Gonzaga a Maria Carafa, e Maria d’Ajerbo.

Grazie alla pietà religiosa napoletana furono date risposte alle richieste urgenti dei tempi, creando istituzioni civili indispensabili per la vita economica e sociale del Mezzogiorno, tra le quali l’Ospedale degli Incurabili.

Il nome “incurabili” potrebbe rimandare all’ultima spiaggia, ad uno spazio dove andare a morire. Non era così: incurabili, o perché rifiutati da altre strutture, per l’incapacità di affrontare nuove malattie, a cominciare dal Mal francese, la sifilide, che andava diffondendosi in maniera esponenziale, o perché poveri e indegni di cure.

Strutture di cura per gli ammalati e strutture di assistenza per i poveri e, soprattutto, luogo di formazione per medici e farmacisti, una svolta epocale nella storia della medicina e della povertà.

Nel corso dei secoli, il complesso ospedaliero andò arricchendosi di molte opere d’arte, con il contributo di artisti del calibro di Cosimo Fanzago, Giovanni da Nola, Francesco Solimena, Francesco De Mura.

Tra le sue mura si formeranno famosi luminari della medicina, primo fra tutti Giuseppe Moscati, che prima di salire agli onori dell’altare, salì sulle cattedre dell’ospedale, Domenico Cotugno, Antonio Cardarelli, Domenico Cirillo, per citarne solo alcuni.

Vi lavorarono, altresì, trenta, tra Santi e Beati, come suor Maria Francesca, divenuta la santa dei Quartieri Spagnoli, la Beata Caterina Volpicelli, il Beato Padre Ludovico da Casoria.

E.R., medici in prima linea a Napoli, sin dal 1799: un folto gruppo di sanitari del Nostro nosocomio, formarono il “Battaglione Sacro della Repubblica”, attivandosi nel combattimento che si scatenò nel vicino Largo delle Pigne, oggi Piazza Cavour, e poi si impegnò a curare tutti i feriti, francesi, giacobini e lazzari. Pagarono cara questa decisione, perché quattro medici moriranno negli scontri, tanti feriti ed altri saranno barbaramente uccisi, per volere del re Ferdinando IV. A Domenico Cirillo, medico, botanico e scienziato, direttore della struttura sanitaria, dopo essere stato ucciso, sarà incendiata la casa, la sua biblioteca ed anche l’ospedale fu dato alle fiamme.

Due secoli dopo, durante la seconda Guerra Mondiale, ancora libri ed opere d’arte bruciati dalle incursioni naziste ed ancora una volta i Sanitari non si risparmiarono, nascondendo partigiani e prigionieri americani e partecipando agli scontri contro i tedeschi.

Originariamente c’erano solo la chiesa di Santa Maria del Popolo, la chiesa di Santa Maria Succurre Miseris dei Bianchi e lo storico ospedale di Santa Maria del Popolo degli Incurabili, in seguito saranno annessi la chiesa di Santa Maria delle Grazie Maggiore a Caponapoli e l’omonimo chiostro, il complesso di Santa Maria della Consolazione, la chiesa di Santa Maria di Gerusalemme e il chiostro delle Trentatré.

Ma il vero gioiello è la Farmacia, sorta tra il 1744 e il 1750, in seguito alla ristrutturazione dell’antica spezieria alchemica cinquecentesca.

Rimasta quasi “illesa”, fu realizzata da Bartolomeo Vecchione, ingegnere e architetto influenzato dai “modi” stilistici del Vanvitelli, è composta da due ambienti, contenenti l’originaria scaffalatura in noce intagliato e decorato, opera dell’ebanista Agostino Fucito, sulla quale sono collocati circa 400 preziosi vasi in maiolica, raffiguranti scene bibliche e allegorie e decorati in chiaroscuro turchino, realizzati da Donato Massa. La stupenda pavimentazione in cotto maiolicato viene attribuita a Giuseppe Massa e l’immenso affresco che decora il grande soffitto del salone è opera del pittore Pietro Bardellino (è suo anche l’affresco “Apoteosi di Ferdinando IV e Maria Carolina”, sul soffitto del Museo Archeologico Nazionale di Napoli).

All’avanguardia sotto tutti i punti di vista, se pensiamo alle strutture di cui era dotato e ai servizi che offriva a tutti, non solo ai cittadini:

-era diviso in reparti specialistici, che coprivano tutti gli ambiti della professione medica;

-possedeva un teatro anatomico, dove si faceva lezione sui cadaveri;

-nei suoi padiglioni nacque la prima clinica privata;

-fu istituita la prima forma di assistenza alle madri che non volevano o non potevano tenere i figli: venivano fatte partorire con il viso coperto, per garantire la privacy;

-il convento delle Pentite, ex prostitute;

-una Borsa di Studio per i non residenti in Italia, per offrirgli l’opportunità di frequentare la Scuola medica napoletana;

-per gli stranieri, funzionava anche il servizio interprete;

-l’orto medicale, con una meraviglia della natura, il rarissimo albero della canfora.

Per tutto questo e molto altro ancora, a giusta ragione, è considerato il primo “Campus bio-medico universitario” della Storia del mondo.

Qualche simpatica curiosità:

  • il poeta, drammaturgo, saggista e novelliere Salvatore Di Giacomo si iscrisse a Medicina e, proprio nel laboratorio anatomico del nosocomio, impressionato dai cadaveri esclamò: “Non voglio più fare il medico!”. Fu così che la letteratura e la critica letteraria acquisirono un grande figlio.
  • un vaso enorme e di pregiato marmo, conteneva la Teriaca, il preparato farmaceutico che, da farmaco antiveleno, si era trasformato in panacea per tutti i mali, grazie ai suoi effetti miracolosi. Conteneva, tra gli altri ingredienti, carne e pelle di vipera, ma ciò che lo rese molto efficace fu, probabilmente, l’oppio incluso tra i suoi componenti. Divenne, in breve tempo, il farmaco più richiesto, tanto che i Borbone ne esercitarono il monopolio.
  • quattro anni fa, si tenne il battesimo ufficiale del Museo delle Arti Sanitarie e della Storia della Chirurgia, ospitato nell’ex convento delle Pentite, grazie all’impegno dell’Asl Napoli 1 e all’associazione “Il Faro d’Ippocrate”. Il taglio del nastro, fu rigorosamente effettuato con il bisturi.

E’ mai possibile che su questa pagina di Storia di tale magnificenza, sia calato l’oblio e il degrado e che solo grazie al volontariato, oggi, possiamo ammirare una piccola parte di quell’antico Complesso Monumentale, dove è nata “l’arte di curare con arte”?

 

 

 

Venuta al mondo in casa, in una piovosa domenica di novembre, grazie ad un’ostetrica che aveva appena festeggiato il suo 90° compleanno. Docente da sempre, criminologa per passione, mediatore per incrementare lo stipendio dello Stato, artista per talento naturale, ma è ancora alla ricerca di un’occupazione seria e, per questo, non ha mai smesso di studiare. Dotata di una tenacia notevole, non abbandona mai ciò che intraprende, costi quel che costi. Tralasciando i 1001 difetti, è spudoratamente leale ed onesta. Sensibile ed estroversa, alterna brevi periodi di terapeutico isolamento, per sopravvivere in questo mondo corrotto e dominato quasi esclusivamente dall’interesse. Maleducati, prepotenti e presuntuosi devono tenersi a distanza di sicurezza. Detesta tutto ciò che è artefatto, la follia tecnologica e il febbrile consumismo.