L’ultima mortificazione

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  • di Maurizio De Giovanni

Narra la leggenda che all’ultimo respiro del calciomercato del 1984 i dirigenti del Napoli di allora depositarono una busta sigillata, asserendo che essa conteneva il contratto col quale il Miglior Calciatore di tutti i tempi diventava il Numero Dieci della squadra azzurra. Nella busta c’era il corretto numero di fogli, ed essa aveva quindi il peso e la dimensione giusti per essere accolta e adeguatamente vidimata. La leggenda prosegue raccontando che però nella busta i fogli erano bianchi: non c’era stato il tempo per raccogliere le firme, i tempi erano troppo ristretti. Quei dirigenti però sapevano che se non avessero regolarizzato l’acquisizione, il Migliore di Tutti sarebbe andato altrove, magari dove la Sua classe avrebbe potuto trovare terreno maggiormente fertile per le vittorie che il destino Gli riservava; e sapevano anche che nella segreteria della Lega c’era un impiegato tifosissimo del Napoli, che avrebbe segretamente sostituito, di là al giorno successivo, quei fogli bianchi col contratto vero e regolarmente sottoscritto. Come in effetti fu, e così nacque lo squadrone che avrebbe vinto i due soli scudetti e l’unica coppa internazionale nella storia azzurra. Non sappiamo onestamente se questa leggenda risponda o meno a quanto realmente accaduto: chi allora c’era risponde alle domande relative a questo con un sornione, furbo sorriso. Ma ci piace pensare che sì, andò proprio così, e che da una piccola astuzia sia nata tanta passione e siano scorse tante lacrime di gioia. Ci sembra una genesi molto napoletana per tante vittorie così poco napoletane.

degiovanniAbbiamo ricordato questo, quando abbiamo assistito attoniti alla meschina conclusione del mercato del Napoli l’altra sera. Non che l’acquisto di Soriano, anche se fosse stato perfezionato regolarmente, avrebbe prodotto effetti lontanamente paragonabili a quelli dell’ottantaquattro, sia chiaro: la valutazione delle operazioni portate a termine in questa sessione sarebbe passata forse dal cinque al sei meno, in perfetta linea peraltro con quelle dell’anno scorso e nella triste, malinconica prospettiva del progressivo ridimensionamento figlio di se stesso, meno si compra peggio si va, e meno si guadagna, e quindi meno si compra eccetera. No, non è per il mancato acquisto della mezzala sampdoriana, per il quale fioriscono sagaci battute come: sfuma Soriano, si punta sulla Marturano. Non è per questo, anche se forse l’arrivo del centrocampista avrebbe consentito di tentare di sbolognare altrove il nefasto Lopez, retaggio beniteziano, e come tale sarebbe stato di per sé da benedire. Quello che lascia atterriti è il ripetersi di un evento che si era già verificato a inizio mercato con Astori: tutto è a posto, tutti sono d’accordo ma alla fine nulla si concretizza. Un cupio dissolvi, un ottuso e reiterato autolesionismo formale che attira sulla società, e quindi in via traslata sulla squadra e sulla stessa tifoseria, il ridicolo e i lazzi del resto dell’Italia calcistica. Più in generale, ci si chiede come sia possibile raggiungere un accordo alle diciannove e non riuscire a formalizzare lo stesso accordo entro le ventitré; e ci si chiede anche per quale motivo nello stesso tempo tutte le altre società concludano comodamente molti affari di ben maggiore entità, senza alcun problema. Certo, ognuno è libero di guardarsi i fatti suoi e di fare i propri affari come meglio crede; e se si ritiene di fare impresa in un determinato modo, nulla da dire. Il fatto però è che una squadra di calcio non è un’impresa come le altre; una squadra di calcio è fatta di cuore e passione, di sofferenze e di gioie. Non è una qualsiasi iniziativa commerciale, fatta di marketing e clienti. Una squadra di calcio rappresenta centinaia di migliaia e forse milioni di tifosi, che seguono col cuore in gola le vicende anche futili, anche effimere come queste ultime ore di mercato col cuore in gola. Una squadra di calcio come il Napoli, poi, rappresenta un’intera città, l’unica grande città italiana con una squadra sola: e coi sentimenti di un’intera città non si scherza. Ci piacerebbe insomma che prima di parlare di tabellone elettronico, di stadio nuovo, di scugnizzeria, di centro sportivo e di scudetti, di internazionalizzazione della squadra, di rosa all’altezza di grandi traguardi, di Astori e di Soriano, di sorpresa di fine mercato alla quale si sta lavorando da due mesi, ci si pensasse bene. I tifosi ci credono. E si abituano e si affezionano all’idea di poter essere di nuovo vincenti, Il cuore, vorremmo dire, a volte vola più su del cervello e della tasca, e produce effetti positivi anche sui ricavi. I dirigenti degli scudetti e della coppa UEFA, è vero, alla fine non riuscirono in tempi lunghi a creare un’impresa solida, forte e redditiva, anche se dubitiamo che ci abbiano rimesso. Ed è vero, il Napoli alla fine fallì, e la città non seppe produrre un imprenditore in grado di rilevarne le spoglie. Ed è altrettanto vero che non c’erano palloni e tute e campo per allenarsi, e ringrazieremo sempre di aver trovato quei palloni e quelle tute. Ma è anche vero che dietro alla maglia azzurra battono sei milioni di cuori e sei milioni di portafogli, che continueranno a battere, azzurri come sono, perché da tifoso non ci si dimette mai, anche quando avvengono episodi sconcertanti e sconfortanti come quello dell’altra sera. E se fosse vera la leggenda, ricorderemo con ribaldo affetto il gesto di Ferlaino e Juliano, che consegnarono una busta di fogli bianchi e su quella costruirono quelli che a oggi sono tutti i nostri momenti di gloria. Chissà come sarebbe andata, se avessero preteso l’esclusiva dei diritti d’immagine del Numero Dieci.
Ma già, dimenticavamo. Ferlaino e Juliano erano tifosi del Napoli.

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