Maratona di Boston: due anni fa l’attentato. “Io, runner, penso a quel papà che non vedrà più il figlio al traguardo”.

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Era il 15 Aprile 2013 quando, intorno alle 15,  durante l’ultimo miglio della Maratona di Boston (circa un’ora dopo che il primo maratoneta aveva tagliato il tragguardo), due ordigni, posti dentro alcuni cestini della spazzatura lungo il marciapiede, furono stati fatti esplodere con un telecomando a distanza. Tre i  morti, tra cui un bambino di 8 anni, e oltre 140 feriti, di cui almeno 19 gravi. Feriti tra i corridori e tra il pubblico che si alzò in preda al terrore in un fuggi fuggi convulso tra la paura e la difficoltà di capire cosa stesse accadendo. E in pochi secondi la gioia della fine della gara fu trasformata in tragedia. 

Vi riproponiamo, nell’occasione dell’anniversario di quella tragedia, un articolo che il nostro redattore Michele della Gala, runner per passione,  e papà di una bimba, ha scritto due anni fa, all’indomani dell’attentato. 

‘’ Papà, dai, forza, manca poco, il traguardo è lì, sei un campione, il mio campione…..’’

Era una fredda domenica di ottobre e mi accingevo a chiudere una gara dura e impegnativa, con le gambe pesanti ed il respiro che iniziava ad essere irregolare. Ma ogni volta che pensavo a lei, come per magia, le gambe tornavano a girare ed il respiro tornava come alla partenza, perché sapevo che ad aspettarmi al traguardo c’era lei.  E così, col suo sorriso e coi suoi occhi, orgogliosi di vedermi  tagliare la linea dell’arrivo,  eccola  pronta ad abbracciarmi e a dirmi: ‘’ sei forte papà ‘’.

Altro che medaglie, altro che premi, altro che coppe, la corsa è capace di regalarti queste sensazioni stupende che  compensano mesi e mesi di sacrifici per preparare una gara, allenamenti sotto la pioggia, al freddo, ad ogni temperatura: Emil Zapotek, atleta cecoslovacco plurimedagliato ai giochi olimpici, diceva che ‘’se vuoi correre un miglio corri un miglio ma se vuoi conoscere un’altra vita, allora, corri la maratona‘’.

E la maratona di Boston è la più antica del mondo e rappresenta il sogno di ogni buon runner:  42,195 km in cui la fatica si impossessa del tuo corpo ma non della tua mente, in cui l’asfalto unisce atleti di tutto il mondo, in cui il rumore delle scarpette si raccontano le proprie esperienze, in cui il respiro di ciascuno di noi  ci accompagna come una bussola nel deserto, in cui le lacrime di gioia sul traguardo ci accomunano nella condivisione di un’emozione spesso difficile da spiegare.

Ho imparato che la corsa è sudore, sacrificio e sofferenza ma anche soddisfazioni, emozioni e vita: mai avrei pensato che la corsa fosse anche morte.

Per un attimo ho rivissuto il film della mia corsa autunnale, dell’incitamento di mia figlia, del suo sorriso, della sua corsa ad abbracciarmi in un lungo intreccio di pura emozione: ho pianto, ho pensato a quel padre che al traguardo voleva stringersi al proprio figlio, voleva condividere con lui gioia e soddisfazione, voleva mettergli al collo la medaglia dei suoi sacrifici. Ha trovato, invece, la morte, il dolore, la distruzione di una vita. D’ora in poi il rimorso e i sensi di colpa lo accompagneranno per il resto di quella che non sarà più una vita normale, perché quel padre è vivo fuori ma è ‘morto’ dentro e perché quel bimbo di 8 anni non ha fatto in tempo a dirgli: ‘’ sei forte papà ‘’.

I natali glieli ha dati la terra di Giordano Bruno nel lontano 1972 ed è lì che ha alimentato la sua grande passione per lo sport e la musica: il Napoli come malattia ‘felicemente’ incurabile unitamente al running come aspirante maratoneta. Ama gli eventi di nicchia, ecco perché adora il jazz. Nei ritagli di tempo, invece, si perde nei numeri contabili dell’azienda per la quale collabora.