Odio il silenzio.

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L’ItaGlia omofoba, razzista, l’ItaGlia amministrata da puttanieri pedofili, frequentatori di trans con i miei soldi, camorristi artefici di cancro per gli innocenti, eccetera, è Mancini. Che paese traviato, che orgoglio, il mio, di non sentirmici nemmeno un poco, in questo paese dove ci stanno Gli Uffizi, Via Posillipo, Er Colosseo e Piazza San Marco, e poi pure sta pletora di borghesucoli frustrati e repressi che picchiano il nero in piazza e in branco e mettono di nascosto le mani in culo alla nipotina di nove anni nel cesso di casa. Intendiamoci. Sarri fa una cazzata planetaria, siderale, incommensurabile, soprattutto imperdonabile, senza possibilità di esegesi salvagente. Una cazzata, una di quelle che riguardano tutti perché tutti ci inciampiamo notte e dì, delle quali ci pentiamo nell’attimo esatto in cui, smaltito l’embolo, percepiamo le conseguenze che solo il silenzio altrui ci risparmia, prefigurando scenari apocalittici nel caso in cui un delatore prezzolato o uno scandalizzato posticcio avesse proceduto allo sputtanamento en plen air. Intendiamoci ancora. Odio il silenzio, che, come diceva quel tale, “è uguale a morte”. Dunque, a rigore, Mancini, un passato da fighetto davanti a sé e un avvenire da chiachiello dietro le spalle, adotta una delle possibili soluzioni: quella odiosa, da chiagnazzaro, da finto indignato, da corifeo della doppia morale (gli striscioni razzisti? so’ ragazzi, ricordate, no?). E mi dà anche fastidio considerare il campo di gioco come zona franca, detesto la faciloneria del “se ne dicono tante”. Gli spazi di impunità paramafiosa mi fanno girare le palle, così come sto codice omertoso di merda, l’invocato diritto al silenzio sulle schifezze più immonde che il rettangolo di gioco copre Sono incazzato, certo, perché l’atteggiamento di Mancini infastidisce, mi unisco volentieri al coro degli insulti, perché mi sta sui cabbasisi lui, isso ‘a sciarpetta o’ capputtiello, il perbenismo di stocazzo; e anche la clamorosa sopravvalutazione tecnica; Mancini è mero apparire, in tutto. Ma sono cazzi suoi.

Fa quello “che non si fa” in nome di un orrendo codice omertoso; dunque fa una cosa lecita. Anche se, andando di retropensiero, non gli sarà parso vero di dare una botta di destabilizzazione. Ma male al coglione che gli ha fornito l’assist. . Intendiamoci ancora, e ancora. Mancini, fighetto e chiagnazzaro e con la sciarpetta buona, quello che viene umiliato a Napoli a novembre ma da imbonitore telegenico convince frotte di giornalisti che doveva pareggiarla, Mancini fa una cosa che è consentito fare, e che però lo qualifica come uomo, come omuncolo, come spione, una roba che in certi ambientini gli garantirebbe, diciamo così, un trattamento molto speciale. Uomo non “di comunità”, soprattutto. Uomo che dà facile esca ai moralismi del vicolo: non si fa, e che cazzo, che volgaritè.

Però Sarri cazzo Sarri, stai davanti al quarto uomo, hai perso ormai, soprattutto sai bene che sei nel mirino da troppo tempo, che non si aspetta altro, che la Rai bigotta e pipparola, la stampa del nord, vuole un’occasione per massacrarci. Non trovando nulla ci hanno rotto i coglioni perché invece di stare a lutto facciamo festa con la squadra, anzi la squadra fa festa con noi. E tu, recidivo, fai una stronzata del genere? Dici di aver chiesto scusa ma di non ricordare esattamente quello che hai detto, quasi che ti sia uscito fuori, dio che cosa terribile, come riflesso condizionato? Vaffanculo, Mancini, che lo chiami “vecchio cazzone” ma la cosa passa in cavalleria. Però vaffanculo anche tu, Zio Sarri. Né con la DC, né con il PCI. Soprattutto, né con l’ItaGlia, paese traviato.

Enrico Ariemma Docente di Lingua e Letteratura latina presso l’Università di Salerno. Uomo di inverni miti e di estati di passione, malato di Napoli e di filologia, in quale ordine non saprebbe dire. Chirurgo di testi per vocazione antica e per impegno accademico, prova con francescana ostinazione a educare alla Bellezza, dinanzi ai cui inattesi impercettibili cristalli si stupisce e si commuove. Per questo detesta con pervicace ostinazione il brutto, il crasso, il banale, il volgare. Stanziale da quarant’anni al San Paolo, legge, scrive, insegna, cavalca una moto, inforca gli sci, va per mare, vagabonda per mostre, viaggia per le leghe del pensiero e per le strade del mondo. Ama.