Portatori sani di idiozia

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Iniziamo, come farebbe un giornalista serio, dal fatto:  Sofia Zago, una bambina di quattro anni, è morta a Brescia di malaria. Se la diagnosi venisse confermata si tratterebbe del primo caso di decesso dovuto alla malaria dal 1997. Sofia era stata ricoverata, sabato scorso, nel reparto di pediatria dell’ospedale Santa Chiara di Trento dopo Ferragosto per un episodio di diabete infantile. Negli stessi giorni, nel reparto, erano ricoverati due ragazzini che avevano contratto la malaria.

Passiamo a una breve spiegazione scientifica: Sofia sarebbe stata uccisa dalla più grave forma di malaria, quella cerebrale, il cui  unico vettore di contagio è la puntura di alcune specie di zanzare appartenenti al genere Anopheles, che veicolano nel proprio stomaco il microrganismo responsabile della malattia  (il Plasmodium Falciparum e il Plasmodium Vivax, per esempio). Una delle particolarità della malaria è che non si trasmette per contagio interumano diretto. Vale a dire che una persona non può contagiare un altro individuo con la malaria. La malaria si trasmette invece tramite trasfusioni di sangue infetti (ma i protocolli italiani vietano la donazione di sangue a persone che hanno soggiornato in zone dove la malaria è endemica).

A quanto pare, però, a certi esponenti politici i dati scientifici poco interessano, e la notizia era troppo succulenta per essere trasmessa in una forma eticamente corretta dalla solita stampa spazzatura che nemmeno mi va di nominare, e che ha ben pensato di titolare a caratteri cubitali “Dopo la miseria, portano le malattie” riferendosi a profughi ed extracomunitari che sbarcano in Italia. Non voglio fargli pubblicità, ma l’unica cosa che mi viene in mente è che il nome del giornale rievoca certi bagni pubblici, che se li trovi liberi è solo perchè sono pieni di merda.

Ora, se fossi una giornalista seria, dovrei fare ricerche e pubblicare dati su quanti italiani sono stati, negli ultimi tempi, in vacanza in posti esotici, scrivendovi pure quali siano – questi paradisi tropicali – in cui una zanzarella portatrice di malaria vive. Siccome non lo sono (una giornalista seria, dico), mi piace immaginare la zanzarella con la sindrome del delfino di Bambaren, ansiosa di vedere il mondo, che abbia pensato di fare la portoghese a bordo di una griffatissima valigia, mentre la proprietaria se ne stava spalmata su un lettino ad abbronzarsi e pubblicare selfies delle sue fighissime vacanze. Se fossi una zanzara, sceglierei questo, come mezzo di trasporto, piuttosto che annidarmi nelle luridissime maniche arrotolate di un disperato che si imbarca su un gommone per arrivare in Italia, a rischio di annegare in mare e au revoir sete di conoscenza.

Ma tant’è, non lo sapremo mai, come cazzo ci è arrivata, ‘sta zanzara a Trento. Sorrido però nel pensare a un siriano, per esempio, che raccoglie le sue povere cose da imbarcare, e mette in una busta, insieme alle altre, un po’ di miseria e malattie, come un fortunato ci può mettere le aspirine e il Bentelan (s’ha da semp purtà), un po’ di cremine e qualche profilattico in più, che non si può mai sapere.

Dice “Eh, ma tu così vuoi fare la giornalista comunista? Non ci scrivi due statistiche, non citi nessuna fonte autorevole, butti giù due battute pure sceme e ti credi di aver scritto un articolo?”.

Vi confido una cosa. Io, la giornalista, non l’ho mai voluta fare. E, se i giornali sono quelli che – come scrive il mio amico Pinko – se ci tappezzasse i vetri della macchina prima di trombare gli passerebbe la voglia, faccio pure bene.

Qua il problema non è la malaria. È che è mal’acqua, come diciamo a Napoli. Lo scenario che ci si prospetta è drammatico, e ‘sti social accelerano il processo e lo rimbalzano permettendo a chiunque di farsi un’idea deviata. Chi deve parlare tace, e chi dovrebbe essere messo a tacere diventa voce autorevole. Il problema sono le stronzate che dice e che vengono metabolizzate e poi veicolate da altri millemila portatori sani di idiozia.

Al Domenicale con entusiasmo da più di un anno, dopo il banco di prova con Paralleloquarantuno. Giornalista per passione, scrive di tutto quello che la entusiasma, predilegendo i temi dell’ambiente e della cultura. Classe ’71,buddista, due figli, nel tempo libero cucina e gioca a burraco. Se dovesse descriversi con una sola parola, sceglierebbe “entusiasmo”, anche se si definisce un’anima in pena. Scrivere le è indispensabile: si firma #lapennallarrabbiata, e questo è il suo modo per denunciare ingiustizie e dare voce ai sentimenti che vive, come tutto quello che la riguarda, con un coinvolgimento totale.