Ripartiamo dalla Scuola

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di Rosario Pesce

Nella società odierna sempre maggiore è lo sforzo degli educatori, che molto spesso devono compensare, con i loro strumenti, le mancanze anche di altre agenzie sociali, in primis della famiglia.

Sulla scuola, ormai, ricadono una serie di responsabilità educative, che con non poche difficoltà vengono condivise con altri enti o soggetti della società civile.

È chiaro che, in tale contesto, le competenze che vengono richieste ai formatori vanno ben oltre la loro pregressa carriera scolastica ed universitaria.

Educatori, docenti, un po’ anche genitori o fratelli dei loro stessi alunni, psicologi, a volte finanche operatori socio-assistenziali: ormai, la figura del docente è così poliedrica, che nessun’altra professionalità è altrettanto complessa.

Eppure, nonostante tutto, vengono meno sia i riconoscimenti economici, che quelli soprattutto di natura sociale, visto che nel nostro consesso il professore o il maestro non godono più della medesima visibilità che essi potevano vantare, invece, qualche decennio fa.

Infatti, agli occhi in primis delle famiglie, i docenti diventano – talora – degli obiettivi di polemica, che certo non contribuiscono a migliorarne l’immagine sociale o il grado di autorevolezza, che ogni formatore dovrebbe possedere per poter fare al meglio il suo non facile mestiere.

In tal modo, nel corso di questi anni, nonostante la bellezza di una professione, che rimane comunque unica, molti hanno fatto richiesta di uscita dai ruoli statali della docenza ed il numero sarebbe stato ben maggiore, se non fosse intervenuta la nuova legislazione in materia di pensionamenti, che ha innalzato i tetti di età per la fuoriuscita volontaria dalla Pubblica Amministrazione.

Per altro verso, l’ingresso dei nuovi docenti nella Scuola pubblica è divenuto più lento ed articolato, visto che il semplice conseguimento del titolo di studio e la conseguente abilitazione non sono più sufficienti per poter salire in cattedra, per cui, visti anche i bassi salari, nonostante la crisi economica, si verifica una fuga dalle facoltà universitarie che aprono le porte esclusive dell’insegnamento.

È chiaro che una svolta, nel settore dell’istruzione, è necessaria, a meno che non si voglia fare della scuola un settore residuale dell’Amministrazione statale, ad onta dell’altissimo numero di cittadini italiani che vi lavorano nei vari profili professionali.

Forse, bisogna incrementare il budget che lo Stato mette a disposizione, ogni anno, sulla voce “istruzione”?

Forse, bisogna realizzare l’ennesima riforma dei cicli?

Forse, è opportuno fermarsi un attimo prima di mettere mano ad una materia, che ha subìto troppi interventi nel corso della Seconda Repubblica, con interventi legislativi i cui effetti, a volte, si sono annullati reciprocamente ed, in particolare, hanno creato delle stratificazioni che si sono, ormai, consolidate?

Certo è che il centro della società civile è la Scuola e qualsiasi intervento di riforma del nostro consesso non può non partire dalla premessa che, senza una Pubblica Istruzione funzionante, non esistono le libertà, la democrazia, l’uguaglianza giuridica, né tanto meno quella sostanziale.

 

Dirigente scolastico, dapprima nella secondaria di primo grado e, successivamente, nella secondaria di II grado. Gli piace scrivere di scuola, servizi, cultura, attualità, politica. I suoi articoli sono stati già pubblicati da riviste specialistiche, cartacee ed on-line, e da testate, quali: Tecnica della scuola, Tuttoscuola, Edscuola, Ftnews, Contattolab.