Salvatore Parolisi: se questo è un uomo

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Che poi, mi chiedevo cosa fosse la crudeltà. Come si uccide senza crudeltà? Cioè, c’è un modo gentile per uccidere la madre di tua figlia?
Da donna, mi viene piuttosto da pensare che l’aggravante sia averla fatta vivere, con crudeltà.

Averle fatto credere per anni che l’amasse, che c’era tutto un futuro in cui sperare, e da costruire, per loro e per quella bambina che si porterà dietro, a causa di suo padre, e per tutta la vita, il pesante fardello di essere nata donna.
Nel XXI secolo, ancora.
Salvatore Parolisi, come Michele Buoninconti e come i tanti altri pazzi disperati che hanno pensato di eliminare le mogli, in un modo piuttosto che un altro, pensando così di eliminare insieme a loro, le insicurezze, le frustrazioni e gli scheletri che si tengono ben nascosti negli armadi. Sfogando su donne inferiori solo per peso e forza necessaria a difendersi, la loro brutalità e offendendone i corpi come in vita ne avevano offeso le anime.
Uomini piccoli piccoli, che invece di scendere a patti con le loro miserie, continuano a compiere atti di violenza contro quelle che avevano liberamente scelto come compagne di cammino.
Tutelati – paradossalmente – da un sistema giuridico lacunoso che, nella maggior parte dei casi, lascia impuniti delitti efferati, o commina pene inadeguate non assolvendo assolutamente al compito di impedirli per la paura del castigo.
E donne, che dopo essersi condannate (come spesso accade) a ménage coniugali mediocri e tristi, in nome di convenzioni sociali che ancora le tengono ingabbiate, hanno pure dovuto subire l’oltraggio di una morte violenta, per mano di compagni vigliacchi, e di un giudice che decide, in base a non si sa quali elementi, che in quel gesto non c’era violenza.
Cos’erano, quelle coltellate? Atti d’amore? Forse si. L’atto d’amore estremo di chi, resosi conto della propria meschinità, decide di liberarti. “Visto che non sono abbastanza uomo da guardarti negli occhi, e raccontarti le mie miserie, ti tolgo la vita. Ti tolgo il disturbo di dover vivere con me”.
Siamo nel 2015.

Ma certe sentenze, sembrano riprese esattamente dal tribunale dell’Inquisizione.

Al Domenicale con entusiasmo da più di un anno, dopo il banco di prova con Paralleloquarantuno. Giornalista per passione, scrive di tutto quello che la entusiasma, predilegendo i temi dell’ambiente e della cultura. Classe ’71,buddista, due figli, nel tempo libero cucina e gioca a burraco. Se dovesse descriversi con una sola parola, sceglierebbe “entusiasmo”, anche se si definisce un’anima in pena. Scrivere le è indispensabile: si firma #lapennallarrabbiata, e questo è il suo modo per denunciare ingiustizie e dare voce ai sentimenti che vive, come tutto quello che la riguarda, con un coinvolgimento totale.