Se la storia condiziona il voto…

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Una delle debolezze del fronte del NO, al referendum costituzionale del prossimo mese di dicembre, è rappresentata dalle personalità politiche (o da talune di loro), che stanno facendo campagna elettorale in favore di tale opzione.
Infatti, i vari D’Alema, Berlusconi, Cirino Pomicino, Fini, caduti ormai negli indici di gradimento degli Italiani, rischiano – malgrado le loro buone intenzioni – di traghettare voti in favore del Sì, perché l’Italiano medio, pur di non votare nella loro medesima direzione, può decidere di esprimere un consenso, magari non convinto, in favore delle tesi renziane.
Cosa dire?
Può una condanna della storia (una moderna damnatio memoriae) determinare una simile dinamica, finanche quando la tesi di siffatte personalità è pienamente condivisibile, a prescindere da chi se ne fa araldo e dagli eventuali meriti o demeriti di questi?
Purtroppo, si sa bene che gli Italiani votano con la pancia molto spesso, per cui è molto probabile che la tecnica del rigetto verso il recente passato può portare voti ad un presente, che non è certamente migliore.
Se così fosse, forse sarebbe opportuno che, per il bene del NO, questi personaggi si facciano da parte, così da evitare dinamiche perverse, che possono determinare un’eterogenesi dei fini.
Peraltro, sarebbe anche giusto che gli Italiani facciano, finalmente, pace con il loro passato: è iniquo che il presente si legittimi sempre e solo per via negativa, per cui chi governa oggi, lo fa perché il suo predecessore era assai peggio.
Per tal via, il Paese non diviene mai maturo, ma rischia di votare sempre contro qualcuno o qualcosa e mai per qualcuno o qualcosa.
Se gli assertori del NO votano contro Renzi e quelli del Sì contro D’Alema e Fini, allora si può desumere che il popolo italiano deve, ancora, raggiungere la maggiore età, dal momento che non è questa la logica a cui bisogna prestarsi, quando – in occasione di un voto referendario molto sentito – si deve scegliere fra due opzioni culturali, prima ancora che politiche o di mera strategia parlamentare.
Infatti, il nostro Paese porta con sé, nel suo ventre, una cultura della contrapposizione, che non è meritevole di essere elogiata, visto che è, unicamente, mirata a distruggere e non a costruire.
Si vota per appartenenza o per identità e mai per spirito divisorio o di contrasto: eppure, questo referendum rischia di alimentare i sentimenti peggiori del popolo italiano, quelli tesi appunto alla contrapposizione ed alla contraddizione e non alla costruzione di un percorso condiviso di valori e di idealità di lungo respiro.
Si rischia, così, di entrare in un vicolo cieco, fatto di rivendicazioni sterili, di risentimenti acuiti dalla gravità del momento presente e di polemiche, che non conducono ad indagare il vero oggetto e le ragioni sottese del quesito referendario.
Forse, il referendum darà un ulteriore contributo a rendere, ancora, più spigoloso e problematico un Paese, diviso da secoli da una contrapposizione, che ha solo ragioni familistiche e non orizzonti di pensiero e prospettive serie di crescita?
Forse, si acuirà una divisione fra apocalittici ed integrati?
Molto probabilmente, sarà l’ultimo canto del cigno di una giovane classe dirigente che, nata per rottamare il passato, rischia solo di distruggere i più importanti istituti della democrazia rappresentativa del nostro Paese, che devono essere – per noi Italiani – un motivo viepiù di vanto e di orgoglio e non di vergogna o di avversione.

 

Dirigente scolastico, dapprima nella secondaria di primo grado e, successivamente, nella secondaria di II grado. Gli piace scrivere di scuola, servizi, cultura, attualità, politica. I suoi articoli sono stati già pubblicati da riviste specialistiche, cartacee ed on-line, e da testate, quali: Tecnica della scuola, Tuttoscuola, Edscuola, Ftnews, Contattolab.