Serenata senza nome: la nuova magia di Maurizio de Giovanni

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“Certi amori non finiscono… fanno dei giri immensi, e poi ritornano”.

Come sottotitolo di  un libro giallo  non è  proprio il massimo, ma i  gialli di  Maurizio de Giovanni non raccontano soltanto un omicidio di cui, alla fine, si svela il colpevole, le motivazioni che lo hanno spinto, e la dinamica del delitto.

Che mi hai combinato anche stavolta, Maurizio!

Durante  una  presentazione mi  hai detto “ma come,  uno ci mette  tanto a scrivere  un libro, e  tu lo leggi in due giorni?”… si, però devo rileggerlo, almeno altre due volte.

La prima volta è stata come l’abbuffata del dopo Ramadan, come la pozza d’acqua in un’oasi del deserto. Aspettavo “Serenata senza nome” da troppo tempo.

ricciardiE ci ho trovato la mia canzone preferita, ci ho trovato la perdita, la notte, la disperazione e la speranza di quel “grosso guaio” che è l’amore, che è l’unica cosa per cui vale la pena vivere e, insieme alla fame – come dici tu – è la motivazione che può spingere ad uccidere.

Finito tutto d’un fiato, ma servono almeno altre due letture per metabolizzare le tinte forti e le sfumature di questi nuovi personaggi.

Se non avessi fatto lo scrittore, avresti dovuto provare a dipingere, Maurizio caro.

Li hai tratteggiati con maestria, come sempre, e li ho visti anche io, questi disperati che ti parlano, che ti raccontano le loro storie affinchè tu le metta su carta e le regali a noi.

E, mentre leggevo, ero con loro su quello scoglio, ero sotto  quel portone ad ascoltare la serenata di Vinnie, ero in quel salotto addobbato per  festeggiare il compleanno di Enrica, ero su quella nave che porta lontano…  ma non me ne sono mai andata.

Ero a quella finestra in penombra insieme a Ricciardi, in quel bar a prendere un caffè, mentre fuori pioveva e dentro le speranze morivano lentamente, soccombendo a una verità costruita ad arte. E’ proprio vero.  L’amore è un guaio grosso, ma è pure un guaio duro a morire. E allora, nonostante le ferite, si siede su una sedia, e aspetta. Ancora.

Se non avessi fatto lo scrittore, avresti dovuto fare il mago, Maurizio caro.

Perché non riesco a definirla che magia, quella che sai creare fin dalla prima pagina. Io, che con le parole non sono brava come te, non lo so trovare un altro termine per raccontare quello che succede prendendo in mano un tuo libro.

Ti resta incollato lì, alle mani, e non riesci a lasciarlo andare. E ci entri dentro con la testa, con gli occhi, con il cuore.

E adesso, Maurizio?

Quando lo avrò riletto altre due volte, come passerà questa estate?

Meno male che hai capito che dovevi fare lo scrittore, Maurizio caro. Ad avercene, di questi tempi, almeno un altro paio di scrittori come te, di quelli di cui noi lettori affamati attendiamo i libri e li compriamo prima che arrivino in libreria.

Grazie di questo nuovo regalo. Grazie per questa Serenata senza nome. Grazie di aver scelto di essere uno scrittore.

NB. Questo pezzo non è una recensione, ma la lettera di un’ammiratrice. Nel caso non si fosse capito!

Al Domenicale con entusiasmo da più di un anno, dopo il banco di prova con Paralleloquarantuno. Giornalista per passione, scrive di tutto quello che la entusiasma, predilegendo i temi dell’ambiente e della cultura. Classe ’71,buddista, due figli, nel tempo libero cucina e gioca a burraco. Se dovesse descriversi con una sola parola, sceglierebbe “entusiasmo”, anche se si definisce un’anima in pena. Scrivere le è indispensabile: si firma #lapennallarrabbiata, e questo è il suo modo per denunciare ingiustizie e dare voce ai sentimenti che vive, come tutto quello che la riguarda, con un coinvolgimento totale.