Via Donnalbina, Via Donnaregina e Vico Donnaromita: tre toponimi, tre fantasmi

Condividi su

Un tris di fantasmi, proprio così, come racconta magistralmente la grande Matilde Serao, nelle sue “Leggende napoletane”.

Un racconto tramandato a voce, da diversi secoli, la storia delle tre sorelle, Donna Regina, Donna Albina e Donna Romita, le figlie del barone Toraldo, http://www.nobili-napoletani.it/Toraldo.htm , nobile iscritto al Patriziato del Seggio di Nido o di Nilo, http://www.nobili-napoletani.it/sedili_di_Napoli.htm#Nido , e di Gaetana Scauro, di elevato rango.

Tutte e tre dotate di una bellezza straordinaria, nel 1320, rispettivamente all’età di 19, 17 e 15 anni, divennero orfane.

La più grande, Regina, ereditò le smisurate ricchezze ed anche la rappresentanza dell’illustre cognome, non essendoci in famiglia eredi maschi: la custodia della gloria e del sangue aristocratico le conferirono tanti privilegi, ma altrettanti doveri: nella grande sala baronale riceveva gli amministratori dei suoi beni ed anche il popolo che chiedeva giustizia per torti subiti.

Dovendo ostentare sempre severità ed inflessibilità, non abbandonava mai il suo pregiatissimo scettro, tempestato di zaffiri, rubini e smeraldi; le sue parole dovevano essere avvertite come ordini.

A forza di indurire il viso e il tono della voce, le si pietrificò anche il cuore e, nel poco tempo libero che le restava, non faceva altro che osservare con orgoglio le insegne della discendenza e i gioielli di famiglia custoditi negli scrigni. Le sue letture preferite erano i libri dove si narravano le imprese degli antenati, accrescendo il senso del dovere, il rispetto per le tradizioni e il culto del suo Casato.

La seconda sorella, chiamata Albina a causa dei capelli chiarissimi, quasi bianchi, e del meraviglioso pallore del suo viso, rivolgeva tutto il suo interesse ai ricami e agli arazzi ed insegnava alle lavoratrici l’utilizzo delle macchine tessili. Delle tre, era colei che conferiva a palazzo Toraldo vitalità, gioia e splendore.

Romita, la più giovane, viveva in pieno le sue crisi adolescenziali, tra momenti di tristezza e lampi di sogni.

Come in tutte le famiglie aristocratiche dell’epoca, fu pianificata una festa con i migliori “partiti”, durante la quale, Donna Regina avrebbe dovuto scegliere il promesso sposo.

Si presentarono tanti giovani, e tra gli altri anche Don Filippo Capece, un cavaliere napoletano di aspetto elegante, esperto di lingua e di spada. Ma accadde l’impensabile: il rampollo catturò l’interesse di tutte e tre le sorelle: Regina trasalì ad un suo sguardo; Albina rabbrividì alle sue parole; Romita si illuminò al tocco della sua mano.

Una perfida fatalità volle che si innamorassero perdutamente dello stesso uomo; seguirono lunghi giorni di sofferenza, vissuti in solitudine, ognuna nella sua camera.

Infine, la decisione di dividersi e consacrare la propria vita a Dio. Edificarono, così, tre monasteri, con incluse tre chiese che presero il loro nome.

Donna Regina, ormai   badessa, talvolta presa dalla nostalgia dei tempi che furono, si affacciava dalla finestra della sua cella, per ammirare Palazzo Toraldo (oggi divenuto Museo d’Arte Contemporanea, il Madre) e andava con la mente all’unico giorno felice della sua vita, quello in cui aveva conosciuto l’amore.

Donna Albina e Donna Romita, in due conventi vicini, trascorrevano il tempo pregando e passeggiando nei chiostri, buttando qualche pensiero al bel Filippo.

E lì restarono fino alla morte, ma l’amore non si era mai sopito.

Quasi sette secoli dopo, le sorelle Toraldo, di notte, si aggirano  disperatamente alla ricerca del loro amato per la città di Napoli, che ha dedicato loro tre strade nel Quadrilatero greco-romano. Uccise dalla passione, le povere anime in pena vagano, si cercano, si sfiorano, si incontrano, si attraggono, ma alla fine si respingono, si sfuggono.

Qualche passeggiatore, poco attento, le confonde con delle statue: tre figure bianche, immobili, che tendono le braccia per cercarsi, con lo sguardo smarrito nel vuoto.

Non è un gioco di luci, non sono statue, ma spettri; immobili, nell’angolo più buio di piazzetta Nilo, vicino alla scultura che i partenopei chiamano “corpo di Napoli”, gli spiriti erranti delle tre sorelle, ogni notte, provano ad abbracciarsi, per annullare definitivamente il dolore immenso del loro ultimo incontro.

Se vi dovesse accadere di incontrarle, non avvicinatevi troppo e state in silenzio, per riguardo verso la loro sofferenza, perché Regina, Albina e Romita amano ancora Filippo Capece e l’oscuro dedalo dei vicoletti di Piazzetta Nilo custodirà per sempre la forza del loro sacrificio…

Il destino scritto, il sentimento predestinato, la punizione della clausura eliminarono definitivamente il nome di una delle più importanti e ricche famiglie napoletane, i Toraldo.

Venuta al mondo in casa, in una piovosa domenica di novembre, grazie ad un’ostetrica che aveva appena festeggiato il suo 90° compleanno. Docente da sempre, criminologa per passione, mediatore per incrementare lo stipendio dello Stato, artista per talento naturale, ma è ancora alla ricerca di un’occupazione seria e, per questo, non ha mai smesso di studiare. Dotata di una tenacia notevole, non abbandona mai ciò che intraprende, costi quel che costi. Tralasciando i 1001 difetti, è spudoratamente leale ed onesta. Sensibile ed estroversa, alterna brevi periodi di terapeutico isolamento, per sopravvivere in questo mondo corrotto e dominato quasi esclusivamente dall’interesse. Maleducati, prepotenti e presuntuosi devono tenersi a distanza di sicurezza. Detesta tutto ciò che è artefatto, la follia tecnologica e il febbrile consumismo.