YARA: UN INCUBO LUNGO QUATTRO ANNI

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Quattro anni fa moriva Yara Gambirasio.

Quattro anni fa per i genitori è iniziato un incubo. Un incubo che non avrà fine.

Aspettano che si faccia finalmente chiarezza sull’omicidio della figlia tredicenne. Aspettano con coraggio e dignità.


Una dignità che è mancata a molti, in tutta questa storia: ai giornalisti, ai politici e a noi spettatori assetati di gossip.

E per la prima volta, in quattro anni, c’è un uomo in carcere per l’omicidio di Yara: Massimo Bossetti.

«Non vogliamo un colpevole, ma il colpevole», dicono per voce dell’avvocato Enrico Pelillo e del consulente genetista forense, Giorgio Portera, «un pensiero condiviso con la famiglia, come tutte le scelte prese nel corso delle indagini».

«Abbiamo sempre rispettato il lavoro di tutti e atteso l’esito degli accertamenti, ora aspettiamo il processo, la sede opportuna in cui si assumono le prove – parla Pelillo -. Speriamo si celebri velocemente, per accertare se l’indagato è il colpevole». Inevitabile che con i Gambirasio il rapporto sia speciale: «Il primo giorno che li ho incontrati sono rimasto sbalordito per quanto fossero brave persone e in questo c’è tutto, dalla forza al decoro senza mai sbandierare il loro dolore – prosegue il legale -. Le volte successive ho avuto la conferma, così come il giorno in cui siamo sentiti al telefono perché era stato fermato Bossetti».

Ora tutti guardano al processo: il DNA è il pilastro dell’accusa. Portera non ha dubbi: «Quel Dna colloca l’indagato sulle scena del crimine». Si ferma al dato scientifico, perché «se poi è stato l’indagato a uccidere Yara lo accerterà il processo».

Infatti, il processo lo aspettiamo tutti.

Perché Bossetti la gogna l’ha subita già e peggio ancora l’ha subita la sua famiglia. Intanto si è già fatto sei mesi di carcere, nei quali si è sempre dichiarato innocente. Claudio Salvagni e Silvia Gazzetti, i difensori del muratore, hanno denunciato indebite pressioni dei magistrati sul loro assistito, che sarebbe stato avvicinato anche dal cappellano del carcere, che lo vorrebbe convincere a confessare. Per questo motivo Bossetti si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere quando, di fronte al pm Ruggieri, gli sono state mosse nuove contestazioni e nuove “prove”, come quella della presunta supertestimone: un’accusa molto grave quella dei legali, che spiegano come il loro assistito non confessi nulla “perchè non ha nulla da confessare”, mentre il procuratore capo di Bergamo difende i suoi magistrati.

Un arresto nato nel peggiore dei modi, quello del presunto mostro, senza rispetto, senza privacy e senza buon senso.

Nuove vittime si sono aggiunte a Yara: i figli, la madre, il padre, i fratelli dell’arrestato. Tutti hanno subito la violenza di vedersi la vita ribaltata, analizzata e giudicata in piazza, sui giornali, nei programmi di intrattenimento televisivo.

Il mio pensiero va sempre ai coniugi Gambirasio. E spero che questo processo porti una cosa sola: giustizia.

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