di Mariavittoria Picone
Rallentare. Siamo rientrati dalle vacanze tutti pieni di buone intenzioni, come da consuetudine, in questo secondo inizio di anno, ci raccontiamo i buoni propositi. Ci siamo detti che bisogna ritagliarsi degli spazi solo per sé, bisogna imparare a non farsi prendere dalla routine, dalla frenesia della città, e, quindi, bisogna imparare a rallentare. Ce lo diciamo sempre, ad ogni rientro da una vacanza: bisogna rallentare. E poi, rassegnati, per forza di inerzia, ci lasciamo avvolgere dal turbinio di impegni cittadini, lavorativi e non, finiamo per fare tutto come prima, irretiti dalla gabbia di abitudini, che ci conforta e ci consola, fino a deprimerci. E quindi, come resistere alla tentazione di essere pigri e infelici?
Ho deciso, quest’anno inizio dalle piccole cose. Dal primo settembre ho cominciato con i messaggi vocali, quelli che tutti oramai ascoltiamo a velocità 1,5 o 2 addirittura, mi sono imposta di non velocizzarli, perché bisogna imparare ad ascoltare. La velocità modifica radicalmente la percezione del tono dell’autore. A 1,5 il tono assume severità, a 2 le voci sono stridule e apparentemente isteriche. Tra l’altro, talvolta siamo costretti a riascoltare, perché non abbiamo decifrato alcuni suoni. Avendo perso da un po’ l’abitudine all’ascolto sereno, nella modalità 1, quasi tutti i miei contatti mi sono apparsi un po’ depressi e, chissà, magari in qualche caso era vero. Naturalmente, il tempo risparmiato ad ascoltare i vocali altrui, lo impieghiamo in attività soporifere, poiché, quelli abituati a concentrarsi su cose serie, generalmente, ascoltano i vocali a velocità reale. Alcuni di noi, il tempo risparmiato nell’ascolto dei vocali, lo usano per guardare i demoniaci reel, che appaiono scorrendo la home di Facebook. Ovviamente, si prediligono quelli più stupidi, nei quali si propinano ricette già note, spesso espresse in un italiano improbabile. Oppure, ci si lascia incantare da siparietti di coppia, interpretati da attori, il più delle volte, improvvisati, il più delle volte noiosi.
Ma la mia perversione, perché di perversione si tratta, sono i consulenti d’amore, gli psicoterapeuti, o sedicenti tali, che bacchettano tutti e forniscono le regole per il successo amoroso. Addirittura, c’è gente che vende i messaggi che conducono alla conquista sicura. Sì, esistono i messaggi strategici, sappiatelo. Costano, ovviamente, e ti garantiscono la conquista dell’ologramma di turno. Tanto, è tutto virtuale. Se le persone si incontrassero davvero, i messaggi servirebbero solo per ricordare gli appuntamenti.
La verità è che a noi degli altri non ce ne frega niente, se non nella misura in cui riescono a distrarci dalla realtà.
Qualche giorno fa, guardando su Netflix Rumore bianco, il film di Noah Baumbach del 2022, tratto dall’omonimo romanzo di Don DeLillo, riflettevo proprio sul costante tentativo di creare un caos di protezione, un rumore bianco, quello che Cesare Pavese definiva frastuono, in grado di distrarci dalle paure e dalla vita vera. Nel film la protagonista principale assume delle pillole per combattere la paura della morte, noi assumiamo social. Ci riempiamo di chiacchiere inutili e di scene di vita altrui, di sentimenti virtuali, fasulli, per non guardarci dentro e non ascoltare il nostro respiro.
Ad un certo punto il film si trasforma in opera teatrale. Si assiste ad una lezione tenuta in contemporanea da due professori: il protagonista, un impeccabile Adam Driver, e un suo collega, l’esuberante Don Cheadle, il primo profondo conoscitore di Hitler, il secondo di Elvis Presley. La lezione, tra voli pindarici e pause astute, ruota tutta attorno al senso della morte e agli escamotage a cui ricorriamo, talvolta inconsapevolmente, per mascherarne la paura.
Adesso vi aspetterete il collegamento tra l’ascolto lento dei vocali e la paura della morte, c’è, ed è tutto nella considerazione del tempo.
Se dopo la lettura di quest’articolo, avrete provato ad ascoltare i vocali alla velocità reale, avrete già cominciato a bucare il rumore bianco.