di Elio Goka
C’è della consolazione nel sapersi mortali dentro una possibilità massima sotto il secolo, perché a un certo punto diventa troppo faticoso. Sembra ieri che qualcuno me lo ha raccontato di averlo vissuto personalmente. Il più patetico dei sensi di colpa. Che oscilla tra la sensazione di impotenza e il ricordo che i primi istanti di tenerezza furono cullati da chi si è trovato dall’altra parte.
Un po’ più indietro, sì, un po’ più indietro dei racconti sui rastrellamenti e le fucilazioni sommarie. Sì, lo so, sono stati dimenticati. I rohingya, i siriani, gli uiguri. Sì, lo so, l’elenco è lungo. Perché è dura ammettere che è capitato di scegliersi degli eroi fasulli. Che premi Nobel, senatrici e cittadini onorari hanno sputato pure sulle loro stesse prigionie per far valere un principio ideologico e politico. Stavolta non in ragione della libertà. E questo è esattamente quello che hanno fatto i loro carnefici. Come lo spieghi che certe icone si sono rivelate fallimentari? Non perché abbiano torto. Quello lasciamolo ai contrari della ragione. Perché va ricordato che all’indomani delle due guerre peggiori che l’umanità abbia mai conosciuto furono prima di tutto le negazioni, le omissioni, i sostegni a modelli culturali idolatri e ottusi a mandare milioni di persone al macero. Perché non suonare più Beethoven, o lasciare morire artisti, scrittori, atleti simbolo di popoli e generazioni è… Insomma è… Perché ritornano le parole di Primo Levi, “Chi ha visto la Gorgone, non è tornato per raccontare, o è tornato muto”.
Perché stavolta non è necessario che chi pur sapendo ha negato sarà condotto lungo i resti dell’orrore, perché ogni cosa compie la parabola inversa. Tutto giunge a destinazione. Ignorare e abituarsi sono le sentinelle. A favore di coscienza. Che poi provaci a spiegarlo che una parte della tragedia simbolo del Novecento, la Shoah, s’è vista pubblicata su una bandiera, ma ha visto disconosciuto tutto il resto. Zingari, omosessuali, non ariani, dissidenti (vale la pena ricordare che su questa categoria pende un mandato d’arresto perpetuo che oggi si traduce nella più totale indifferenza), serbi, sloveni, afro-europei, ucraini, bielorussi, russi, testimoni di Geova, disabili et cetera. Tra questi un bel po’ faticano già a farsi considerare degni di riconoscimento. Figuriamoci una bandiera. E manco a dirlo, che vengono giù gli scaffali coi libri di scuola. Tutta la pedagogia dei buoni e cattivi che per generazioni ha costituito la divisione ventricolare tra il bene e il male per una cardiologia elementare. Maledetti quelli che hanno intestato le lettere con ‘amore mio’. Che in fondo ha avuto ragione Walter Siti quando ha scritto che il desiderio se n’è andato a divertirsi e ha lasciato l’amore a sbrigarsela da solo, “in territorio ostile”.
Un giorno saranno tutti in fila per entrare in qualche museo della memoria. Se andrà bene. Diventerà tutto un sudario rinsecchito esposto in una teca che una mano annoiata spolvererà di tanto in tanto. Fotografie, vestiti, oggetti di ogni tipo, lunghi elenchi di nomi. Se andrà bene. Perché c’è pure la possibilità che tutto questo venga portato allo stadio comatoso. Senza vivere e senza morire. All’agonia di un popolo. Tra i più resistenti di sempre. Forse scomodo per questo. Nel torto e nella ragione. Ah sì, avevamo detto di lasciarli da parte.
Mancano i dépliant e i colophon. Quelli li stamperanno al momento. Dalla lapide alla grafica mandata in tipografia, il memoriale si compirà tra le gite scolastiche e i viaggi col tocco di responsabilità intellettuale di maniera, per questa grande utenza in preda a una coscienza in duplicato. Ogni tanto un brandello, un cumulo di macerie, un proiettile, un volto sfigurato o un bambino morto in braccio al padre saltano sullo schermo di uno smartphone per diffusione ricevuta. È solo la pressione del totale che suo malgrado è fatto di tante cose. Bisogna capirlo. Qualcosa sfugge alla pentola pure se funziona lo sfiato. Fare finta di nulla. Il senso di colpa di nuova generazione ne ha già abbastanza. Il punto di saturazione ha fissato l’assuefazione senza rischio d’intelligenza. Le fughe allo smarrimento. Sono queste le premure delle nuove architetture. A furia di percorrerle temo che ci si sia perduti.
A proposito di architettura. Mentre scrivo mi risulta ci sia una specie di ufficio, un’anagrafe nazionale che a Gaza lavora per contare i morti. Pare abbia già dovuto rimuovere migliaia di famiglie dal registro civile a causa dei bombardamenti israeliani. Sì, proprio così. Migliaia di famiglie cancellate per sempre. E pare che quell’ufficio non sia più in condizione di poter lavorare perché non ci sono più i mezzi per farlo. Forse questa storia finirà come le altre. Le peggiori. Di quando qualcuno scrive che nessuno è in grado di stabilire il numero dei morti. Ma la morte è precisa, infallibile. L’unica al mondo che non ha mai sbagliato. Allora, se perde il conto, non è lei. Vuol dire che qualcuno o qualcosa ha preso il suo posto. E va dicendo in giro di vivere e far vivere.