di Alfredo Carosella
“Sono caduto piano”, ha raccontato Ali Faraj, dal suo letto d’ospedale, alla CNN, il 4 maggio. Ali è un bambino palestinese, ha sette anni, e il 24 aprile è scampato a un bombardamento nel quale ha perso il padre e le cinque sorelle.
Le sue immagini tra le macerie, mentre chiede disperatamente soccorso con il volto sporco di polvere e sangue, sono strazianti.
“Sono caduto piano” racconta, con la semplicità di un bimbo, ai giornalisti. Ha accanto la madre: sono tutto ciò che resta l’uno per l’altra.
Fuori c’è l’inferno: dal 2 marzo, a Gaza, non entrano né cibo, né medicine (Fonte: In mezz’ora, Rai 3). Il 25 aprile, il Programma Alimentare Mondiale dell’ONU ha annunciato di aver esaurito le scorte alimentari. Le 37 cucine allestite dal Programma producevano circa 500.000 pasti al giorno. Cosa ne sarà, adesso, di quel mezzo milione di persone affamate?
Israele afferma che il blocco degli aiuti umanitari serve a spingere Hamas a liberare i 59 ostaggi ancora prigionieri dal 7 ottobre 2023 quando, nell’orribile massacro che tutti ricordiamo, furono rapiti 250 israeliani e uccisi altri 1200.
La priorità, adesso, non dovrebbe essere quella di stabilire chi ha ragione e chi ha torto ma quella di trovare un modo per far cessare l’orrore. Però, secondo il Quatar – che insieme all’Egitto aveva proposto una tregua prolungata tra Israele e Gaza – non ci sarebbero margini per trovare un accordo.
Nelle stesse ore, Trump ha dichiarato che forse non è possibile trovare un accordo tra Mosca e Kiev. Aveva detto che avrebbe fatto terminare la guerra in 24 ore ma sono già passati 100 giorni dalla sua elezione. Il motivo del fallimento risiederebbe nell’eccessivo odio che c’è tra le parti in guerra. Un odio atavico e inasprito dal nuovo conflitto, come tra Israele e Palestina.
Quanto aumenterà quest’odio dopo tutto ciò che stanno subendo le popolazioni aggredite?
Se i grandi Capi di Stato e le diplomazie mondiali non riescono a trovare una soluzione vuol dire che c’era solo un modo per evitare tutto questo: non creare le condizioni perché accadesse.
Mentre i grandi della Terra giocano con le vite delle persone, le popolazioni inermi soccombono.
Renad Attallah, una bimba palestinese di undici anni, è diventata famosa sui social grazie al suo sorriso contagioso e ai piccoli tutorial nei quali mostrava come preparare del cibo con gli ingredienti trovati negli aiuti umanitari. Il suo profilo Instagram “Renadfromgaza” è arrivato a un milione e duecentomila follower. È diventata un simbolo di speranza ma il suo ultimo post è drammatico: ripete per tre volte “We are starving”, “Stiamo morendo di fame”.