di Anna Iaccarino
Mai l’avremmo immaginato, era tutto così assurdo il solo pensarlo, non sarebbe bastato neanche un film di fantascienza visto come era finita l’anno prima, ma poi ci abbiamo creduto fino alla fine, come accade solo per i grandi amori. Quelli oltre ogni logica, ostacolo, paura, delusione, ferita, dolore, rinascita. Esattamente tutto il percorso sportivo, emotivo, umano, che ha attraversato fino all’ultimo respiro, questa lunga, sofferta, pasionaria annata calcistica.
E finalmente quella parola magica, custodita cautamente al riparo da tutto, persino dagli spifferi d’aria, l’abbiamo potuta gridare: SCUDETTO.
Bentornato a Napoli.
La gioia è stata tanta ed ha coinvolto l’intera città partenopea e l’enorme compagine di tifosi azzurri, di ogni dove e latitudine, nella maniera festosa, esaltante, appassionata, fantasiosa, propria di questo popolo, sebbene in diverse modalità di esternazione, ma tutte accumunate da un’unica identità d’appartenenza, da sempre fiore all’occhiello della storia di questa terra. Quel senso di legame indissolubile che arriva anche in luoghi abitati altrove o addirittura oltre confine, dove la vita può portare un napoletano a vivere, senza che questi dimenticherà mai le proprie radici.
Un esempio in tal senso arriva anche dai festeggiamenti organizzati, ieri come oggi, dai tanti partenopei residenti per lavoro o studio in Australia, Germania, Buenos Aires, New York, Parigi, Londra, Madrid, Barcellona.
Ed ancora, con richiami di notizia del titolo conquistato e di filmati omaggianti non solo da Tv nazionali ma anche con servizi e immagini da tante emittenti e località estere.
Io, come tanti altri, da accanita tifosa azzurra fino al midollo, ho postato sulla mia pagina Fb ad ogni vittoria o luce in orizzonte di questo campionato, un mio breve slogan così puntualmente ripetuto: “un altro piccolo assaggio di felicità”.
Finalmente liberato dalla provvisorietà e dall’incertezza il giorno 23 maggio 2025 con il boato dei 60.000 presenti allo stadio “Diego Armando Maradona”.
Tramutato poi in … E adesso lasciateci fare l’amore con la felicità.
Da lì, l’ebbrezza senza fine di vivere questo quarto scudetto nello spirito delle nostre tradizioni, della nostra sanguigna passione tra gioia, canti, balli, arcobaleni di colori, sfottò, comunità in festa.
Rivendicando così la nostra “idea di felicità”, che non è celare ciò che non va, le tante problematiche, ma è semplicemente saper cogliere la pienezza di un momento di bellezza, la capacità di afferrare e viversi fino in fondo quel qualcosa fuori dall’ordinario e renderlo totalizzante come uno stato di grazia da omaggiare tutti insieme. La condivisione egualitaria tra persone di qualsiasi ceto e credo, anche sconosciute, che in quel momento si ritrovano senza steccati, accumunate da una socialità fatta solo da un comune cuore sportivo e battito d’amore per i colori della propria terra.
L’incanto di coltivare lo stupore, di compartecipare una gioiosa, fugace follia, tra occhi ridenti, anime danzanti, frammenti rubati alla felicità.
Il bisogno, quasi fanciullo, di sentirsi per un po’ solo “felicità”.
Io stessa, donna adulta, dal temperamento riservato, non certo esuberante, sono stata pervasa da una furia interiore di voglia matta di riempirmi occhi e cuore di questa magia. Quando a muovere uno stato mentale, un comportamento, una passione, sono le corde del sentimento (perché di questo si tratta), allora avviene tutto meravigliosamente naturale.
CHI conosce le antiche radici, l’essenza, le mille anime di Partenope, può cogliere la leggerezza nobile di un tale stato del vivere, chi ne è a digiuno, come una parte della popolazione italica e dei media nazionali, si astenesse da commenti o giudizi denigratori dalla nostra idea di fare ed essere festa.
CHI non aspetta altro che evidenziare alcuni episodi di furti e lievi feriti, peraltro in una folla oceanica e per questo di complessa gestione, o peggio ancora di accumunare detti festeggiamenti all’accadimento di una disgrazia da incidente stradale avvenuta al ritorno a casa di un tifoso, unicamente per macchiare l’immagine della serata, si limitasse alla verità e al rispetto del caso.
I reati, di qualsiasi entità, vanno sempre rilevati e condannati, ma riportati nell’onestà dei fatti e dei numeri reali. Diversamente si omette obiettività, trasparenza ed equità, alimentando in questi casi, ondate social di odio territoriale.
Ma con questo mio scritto voglio mantenere lo spirito per cui è nato, e lasciar a chi di competenza (istituzionale, civile,) prenderne atto. Io riprendo a vestirmi di quel che sono, una semplice cittadina, ma attenta ad esserci per le sorti, verità e immagine della sua città.
Riparto quindi dalle fantasiose esuberanze folcloristiche che in questi giorni hanno portato svago, colore e divertimento nei luoghi pulsanti dei festeggiamenti scudettati, oltre che (invidiato) indotto turistico. Ovvero ritorno ad accennare all’unicità di una tradizione locale antica, quale figlia della sua stessa storia millenaria. Quel rumore dell’anima che scuote cuori e sorrisi, di grandi e piccini, e che per questo va lasciato libero nella sua splendida cornice di sana, popolare, bellezza d’essere.
La conquista dello scudetto ne è stata solo una ulteriore occasione da cogliere al di là dell’importante traguardo sportivo raggiunto. Una grande gioia collettiva da agguantare e viverla tutta e tutti.
Noi siamo anche questo.
A noi non interessa sbandierare titoli e coppe vinte, la supremazia delle cosiddette grandi, la squadra che incarna vittoria e potere, noi abbiamo scelto “noi stessi” e rimasti fedeli ai nostri cuori innamorati, ai colori della nostra maglia e città. Non brilleremo sempre, ma ogni volta che accadrà non ci sentiremo ospiti di altre storie, saremo a casa nostra, in quella gioia speciale che parlerà la nostra lingua. E per molti di noi, che intendono il tifo anche “sentire identitario”, questa dimensione emozionale è luce dentro.
Ci accontentiamo? No, anche qui alziamo l’asticella. Senza rinunciare a costruire sogni puntiamo in alto nella consapevolezza di poter e voler vincere ancora.
… Infine, a qualcuno sembrerà strano, ma anche da queste parti si torna poi regolarmente a lavoro, ai nostri impegni, ai nostri progetti, ai nostri percorsi di diritto, all’umanità falciata dalle guerre.
Alla quotidianità della vita, guardando avanti.