Il nostro spazio sulla terra

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di Maria Rusolo

“Il giorno più bello? Oggi.
L’ostacolo più grande? La paura.
La cosa più facile? Sbagliarsi.
L’errore più grande? Rinunciare.
La felicità più grande? Essere utili agli altri.
Il sentimento più brutto? Il rancore.
Il regalo più bello? Il perdono.
Quello indispensabile? La famiglia.”

Diciamolo abbiamo conosciuto spesso la paura, ma una paura evidente, personale, che riguardava ciascuno di noi per eventi o per fatti che hanno coinvolto le nostre singole esistenze, ma mai almeno negli ultimi anni abbiamo assistito agli effetti del terrore collettivo, come se camminassimo su un pavimento di sottile cristallo pronto a rompersi in qualsiasi momento, lasciandoci precipitare nel vuoto.

Una sensazione simile forse l’abbiamo sentita nel profondo delle nostre viscere in occasione di un terremoto, se mi guardo indietro ho il ricordo preciso solo di quell’istante, in cui la terra ha tremato e la gente spaventata correva per raggiungere un riparo di fortuna e salvarsi la vita.

Ma se sforzo la mia memoria e recupero i ricordi di quei momenti, riconosco la mia paura in quella degli altri, negli abbracci della gente, nelle mani tese, nelle lacrime raccolte, nelle gambe di mia madre e di mia sorella a cui mi stringevo in attesa di scorgere mio padre che non era con noi.

La terra tremava e nessuno sapeva cosa sarebbe accaduto in quelle ore, ma nonostante tutto eravamo tutti vicini, tutti prossimi a dare una mano, quello che poi è accaduto dopo è storia è analisi sociale e culturale, ma in quei momenti c’era una umanità immensa fatta di calore e di accoglienza. Quello che viviamo oggi è qualcosa di sconosciuto, l’altro è un possibile pericolo, l’untore da tenere a distanza, e la paura ci soffoca ogni istinto di emotiva comprensione.

Non riusciamo a sentire profondamente le difficoltà di chi si ammala, lo consideriamo un irresponsabile, uno che non si è attenuto alle regole imposte a tutela della salute pubblica, non riusciamo a cogliere il disagio di chi già viveva una condizione di estrema difficoltà e ci allontaniamo ancora di più dalla nostra parte emotiva. Chiusi in casa, in uno spazio limitato le nostre ancestrali paure si fanno strada e ci soffocano più di qualsiasi sintomo o contagio, siamo come regrediti in uno stato che ci spinge solo a pensare alla nostra personale sopravvivenza.

Vogliamo respirare dietro le maschere, ma in realtà abbiamo smesso già di essere vivi, e non ne siamo ancora consapevoli, questa è la verità. Anche camminare per strada per le piccole incombenze quotidiane diventa una fatica mostruosa, durante la quale ci scostiamo da tutti e come zombie, meccanicamente portiamo avanti i nostri corpi lontano dagli occhi di chiunque.

La verità è che abbiamo fatto carta straccia dei nostri diritti, perché in fondo non ne abbiamo mai avuto una vera e profonda coscienza, erano lì a portata di mano e li abbiamo dati per scontati, senza interiorizzarli, senza comprendere sino in fondo che i diritti servono a salvaguardare le nostre libertà, il nostro essere coscientemente e profondamente umani. Non lo siamo più ed io credo che quando ci sarà concesso di essere di nuovo nelle strade, nelle piazze, nei teatri non saremo migliori di quanto siamo stati in precedenza, saremo ancora più piccoli, più soli e più egoisti, perché è nel disagio che si tende la mano, è nella carestia che si condivide la parola ed il pane, è nella repressione che si grida per la libertà propria ed altrui.

Ci aspettano tempi cupi, bui, durante i quali non riusciremo a riscaldarci neanche con il calore del sole. Le nostre ansie ci hanno reso più fragili di quanto pensassimo ed il mondo che non era sempre un posto accogliente oggi ci appare una gabbia, nella quale in fondo stiamo bene. Io non ci sto bene ed a volte nelle lunghe notti mi alzo e corro alla finestra, l’apro e provo a respirare con forza, provo ad accumulare nei polmoni quanta più aria possibile, perché per me non esiste mondo che mi dia conforto senza l’altro, senza la pioggia d’estate che bagna l’erba e le strade polverose, senza un ragazzo in una piazza che intona un motivo, anche stonato, senza le urla dei bambini che rincorrono feroci un pallone. Ed attendo che passi per riconquistare il mio spazio sulla terra, per tornare ad esistere.

“Non consultarti con le tue paure, ma con le tue speranze e i tuoi sogni. Non pensate alle vostre frustrazioni, ma al vostro potenziale irrealizzato. Non preoccupatevi per ciò che avete provato e fallito, ma di ciò che vi è ancora possibile fare.”

 

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.