Banco di Napoli, triste addio dopo 500 anni

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di Pasquale Di Fenzo

“E’ caruto ‘o Banco ‘e Napule…” Gridò ironicamente qualcuno nel 1952, quando Hasse Jeppson, centravanti del Napoli comprato dall’Atalanta per l’allora astronomica cifra di 105 milioni di lire, fu sgambettato in area di rigore. Non è dato sapere se già all’epoca l’arbitro si fosse girato dall’altra parte per non assegnare il rigore. Fatto sta che nessuno si sarebbe aspettato che quella frase, che sembrava una iperbole irrealizzabile o fantascientifica, sarebbe, un giorno, effettivamente divenuta realtà.

Il Banco di Napoli, dopo qualche decennio, ebbe poi una rilevanza fondamentale anche nell’acquisizione da parte del Napoli del giocatore più forte di tutti i tempi. Ma non è di calcio che questa volta vi voglio parlare. Io nel Banco di Napoli ci ho lavorato per 40 anni. Quando la gente, specialmente al sud, si pregiava di essere cliente del del Banco di Napoli. Spesso mi è capitato di sentire alcuni correntisti che dicevano di essere trattati dai loro interlocutori al nord con maggiore rispetto quando tiravano fuori il libretto di assegni del Banco di Napoli. A Milano, dove ho lavorato negli anni ’70. quando ci recavamo in Banca d’Italia per le operazioni della stanza di compensazione, venivamo identificati dai colleghi della Banca d’Italia, semplicemente come “ Il Banco”. Eppure c’era anche il Banco di Roma, il Banco di Sardegna, il Banco di Sicilia, o il Banco di Milano, che proprio in quegli anni conobbe l’onta del fallimento.

Col Banco di Sicilia poi, fin dal Regno dei Borbone, si era stabilito un patto di non belligeranza, impegnandosi reciprocamente a non aprire filiali nelle altrui rispettive regioni. La Sicilia quindi, era l’unico posto dove il Banco non fosse presente. Il Banco di Napoli, unitamente alla Banca d’Italia, e a differenza di tutte le altre banche, non emetteva assegni circolari, ma vaglia cambiari. Per esempio, per coprire un importo di un miliardo di lire gli altri istituti dovevano emettere 10 assegni circolari da cento milioni cadauno.

Al Banco bastava emettere un’unica fede di credito, la cui copertura era ultragarantita e per cifre praticamente illimitate. Inoltre per un lungo periodo il Banco ha avuto pure funzioni di istituto di emissione, cioè stampava e metteva in circolazione direttamente biglietti di banca. Non c’era paesino nel sud Italia dove non ci fosse almeno un’agenzia. Poteva capitare di non trovare l’ufficio postale, o la caserma dei carabinieri, e nemmeno la stazione Fs, ma assieme al Municipio e alla parrocchia era impossibile non trovare pure il Banco. La quasi totalità dei dipendenti era di origine meridionale, senza contare le migliaia di maestranze che erano occupate nell’indotto. Basti pensare che la tipografia fornitrice della modulistica, con sede ad Aversa, occupava da sola decine, se non centinaia di lavoratori locali. Stendo un pietoso velo sul saccheggio avvenuto con l’unità d’Italia. In tempi relativamente moderni, il Banco era diventato Istituto di Diritto Pubblico, il cui capitale era per la metà di proprietà del Ministero del Tesoro. All’epoca, intorno agli anni ’80, alcuni di questi istituti, spinti da necessità economiche-finanziarie, dovettero ricapitalizzarsi trasformandosi in SpA.

La BNL, la banca della politica per antonomasia con sede a Roma, in breve tempo, forse per opera e virtù dello Spirito Santo operante nella stessa Città Eterna, vide quasi triplicarsi il valore nominale delle sue azioni. Quando anche il Banco di Napoli si trasformò in SpA, le sue azioni non incontrarono in Borsa lo stesso “entusiasmo”, Fu l’inizio della fine, anche per il susseguirsi di una serie di strategie aziendali chissà quanto involontariamente errate. Qualcuno pensò bene che il Banco di Napoli dovesse “essere salvato”. Allora il Ministero del Tesoro vendette alla BNL il suo 50% di proprietà alla ridicola cifra di 67 miliardi li lire. Più o meno nello stesso periodo Bobo Vieri fu pagato di più. In BNL si parlò di “fusione per incorporazione”.

Per restare in ambito calcistico era come se la Cremonese volesse incorporare l’Inter o il Milan. Si pensi che il solo patrimonio immobiliare del Banco valeva almeno dieci volte di più. Oltre a Filiali e agenzie site quasi tutte in immobili di proprietà e sparse sul territorio nazionale, c’erano sedi a Buenos Aires, a New York, A Parigi, a Londra, a Mosca, unica banca occidentale presente nel blocco sovietico. In previsione del ritorno di Honk Kong alla Cina popolare, vi fu aperta una sede per potere penetrare in futuro anche nel mercato cinese. Si poteva tranquillamente affermare che sul Banco di Napoli, come sul regno di Carlo V, non tramontasse mai il sole. Inoltre c’erano sportelli sui maggiori transatlantici italiani come la Raffaello e la Michelangelo.

Un camper del Banco seguiva sempre il giro ciclistico d’Italia per servire atleti, addetti ai lavori e tifosi al seguito. A Montecitorio, all’interno della Camera dei Deputati, da sempre, c’è un unico sportello bancario, ed appartiene al Banco di Napoli, il quale controllava l’ Isveimer, aveva sezioni autonome di Credito Fondiario, Credito Industriale, Credito Agrario, Credito su Pegno etc…La sede del Monte Pegni, nel cuore di Napoli, in via San Biagio dei Librai era ed è un piccolo capolavoro architettonico, parte del quale è ormai ridotto a deposito, Mi ci recai una volta per delle ricerche di archivio. Sotto una montagna di carte scorsi il vecchio bancone del salone dei pegni. In legno massiccio e sormontato da una lastra di marmo dallo spessore di almeno dieci centimetri. In prossimità degli sportelli delle casse, sotto le tipiche aperture a forma di mezza luna del vetro, il marmo era attraversato, sulla parte destra da veri e propri profondi solchi, sulla sinistra si distinguevano appena gli stessi segni, ma molto meno evidenti, poco più che dei graffi: per quasi 500 anni gli oggetti preziosi avevano solcato quel marmo passando dalle mani del popolo napoletano a quelle dei valutatori e viceversa. A sinistra i segni erano molto meno evidenti in quanto le persone che usano la sinistra sono in numero naturalmente inferiore, Quei marmi andrebbero incorniciati e mostrati con orgoglio alle future generazioni. E invece facevano, e forse fanno ancora, da supporto ad un polveroso scaffale. “Venghino, signori, venghino…è asciuto pazzo ‘o padrone, tutto questo ve lo diamo per soli 67 miliardi di lire!”.

Ma la BNL, oltre a non disporre di quella pur irrisoria cifra (rapportata a quello che si era accaparrato) non aveva nemmeno gli occhi per piangere. Fu un “matrimonio rato e non consumato”, ma restava la dote portata dallo sposo..Allora a stretto giro la BNL rivendette quel tesoro piovutole addosso da Ministero del Tesoro all’Istituto San Paolo di Torino, che aveva bisogno della capillarità degli sportelli del Banco per poter penetrare nel sud Italia, dove era quasi totalmente assente. Stavolta la valutazione fu concordata per la modica cifra di 1000 (mille) miliardi di lire. Sempre in ambito calcistico, si sarebbe definita una plusvalenza di 933 miliardi di lire.

Roba da far impallidire De Laurentiis e Lotito messi assieme. La BNL si salvò, ma si salvò pure l’Istituto San Paolo, che, forte del numero di sportelli acquisito, potette sedersi da pari a pari al tavolo delle trattative con l’altro colosso Banca Intesa e poter così creare uno dei poli bancari più importanti d’Italia. Chi fu salvato da chi, stando così le cose? Ma le cronache ci dicono che fu salvato il Banco di Napoli. Ma il peggio doveva ancora venire, perché dopo avere defraudato di ogni potere i centri decisionali del sud, dopo aver dismesso tutto l’indotto con le aziende meridionali e dopo aver ridotto il Banco a bancarella locale, con la sua filiale più a nord d’Italia situata a Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, si è ora arrivati alla mortificazione finale. “S’ha dda perdere ‘o nommo mio!”, si diceva una volta quando si voleva scongiurare qualcosa di terribile o per esorcizzare qualcosa che si sperava non dovesse mai accadere. Ebbene è arrivata pure l’insulto estremo, un vero e proprio sfregio non solo al Banco, ma a un popolo, a una storia, a una città, all’intero sud, “Ei fu” è ormai definitivo: si è perso anche il nome del Banco di Napoli, è stato cancellato pure quello.

Sempre tutto compreso, per 67 miseri miliardi di miserrime lire.

Ve lo dico col sangue agli occhi; “Tutte mmericine va n’avite accattà!!

Pasquale Di Fenzo, PDF per gli amici, tifoso di Napoli prima che del Napoli. Non lesina critiche a Napoli e al Napoli, ma va “in freva” se qualcuno critica Napoli e il Napoli. Pensa di scrivere, ma il più delle volte sbarèa. L’obiettività è la sua dote migliore. Se il Napoli perde è colpa dell’arbitro. O della sfortuna. Sempre. Se vince lo ha meritato. Ha fatto sua una frase di Vujadin Boskov, apportando però una piccola aggiunta: “è rigore quando arbitro fischia, a favore del Napoli”. E’ ossessionato da Michu che, solo davanti alla porta del Bilbao passa la palla ad Hamsik invece di tirare in porta. Si sveglia di notte in un bagno di sudore gridando “Tira! Tira!”.