di Alessandro D’Orazio
“Tiocfaidh ár lá” (“Il nostro giorno verrà”): era questo uno dei motti pronunciati in gaelico da Bobby Sands, un ragazzo nato nel ’54 nella periferia di Belfast e fin da subito votato alla causa dell’indipendenza irlandese. Per i suoi connazionali è considerato ancora oggi un eroe, mentre per i fedeli alla corona britannica Sands è semplicemente un terrorista. Bobby era un ragazzo comune, come tanti altri giovani della sua generazione in Irlanda del Nord.
La realtà in cui il giovane crebbe fu però caratterizzata dal violento conflitto che insanguinò il Paese e che vide contrapposti nazionalisti cattolici da una parte e unionisti protestanti dall’altra, quest’ultimi sostenuti dal preponderante ausilio dell’esercito britannico. Nel clima generale di violenze ed uccisioni indiscriminate Bobby Sands decise quindi di schierarsi a fianco dei primi, tanto che a 18 anni entrò a far parte dell’IRA, l’Esercito Repubblicano Irlandese.
Gli anni seguenti rappresenteranno per l’Ulster una continua escalation di scontri tra le opposte fazioni, contraddistinti peraltro dai ripetuti carceramenti a cui lo stesso Sands non potè sfuggire. In prigione Bobby imparò a suonare la chitarra e il gaelico, l’antica lingua dell’Irlanda, dedicandosi inoltre allo studio della storia del suo Paese e alla stesura di un diario; scritto questo che coincise con l’inizio di una delle proteste più drammatiche che un corpo umano possa tollerare: lo sciopero della fame (“Hunger Strike”).
Fu così che il 1 marzo 1981 Bobby Sands – rinchiuso all’interno dei famigerati “Blocchi H”, una prigione composta da 8 edifici a forma di H, allo scopo di isolare i detenuti ed esercitare il massimo controllo sui prigionieri – iniziò questo tipo di protesta contro il governo britannico affinchè ai reclusi irlandesi fosse riconosciuto lo status, fino ad allora negato, di prigionieri politici. Il resto della storia è noto: il 3 maggio 1981, dopo 5 arresti cardiaci, Bobby Sands entrò in coma. Alle 1.17 di martedì 5 maggio, dopo 66 giorni di sciopero della fame, morirà nell’ospedale del carcere di Long Kesh. Aveva appena 27 anni. Stessa sorte toccherà ad altri 9 detenuti dopo di lui.
“Se non riescono a distruggere il desiderio di libertà non possono stroncarti. Non mi stroncheranno perché il desiderio di libertà e la libertà del popolo irlandese sono nel mio cuore. Verrà il giorno in cui tutto il popolo irlandese avrà il desiderio di libertà. Sarà allora che vedremo sorgere la luna”. Le ultime parole del suo diario.