Cosa mi resta di mio padre?

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di Christian Sanna

Quando qualcuno mi chiede da dove venga tutta questa ispirazione, vorrei tanto rispondere dalla gioia che sto vivendo e dal compromesso raggiunto nella negoziazione fra ciò che pensavo fosse la vita e quel che realmente è la vita. Ma non sono nato ieri e non mi sto affacciando solo adesso al mondo; conosco perfettamente i codici dell’ipocrisia, le frasi di circostanza, le strategie di comunicazione.

Non mi è sconosciuta l’attorialità dell’essere umano che recita un copione ogni volta diverso a seconda della situazione. Come suona male “a seconda”, in una classifica dell’eleganza della scrittura sarei da zona retrocessione. Proprio io, ma si rende conto il trapezista di parole che c’è in me? Tuttavia, non si retrocede mai a caso, si tenta sempre di tornare a casa, nel luogo protetto. Si dovrebbe, ogni volta che lo si desidera, ritornare nei luoghi dove si è stati felici, anche a costo di confrontarsi con certe assenze e con un silenzio assai rumoroso.

Avrei voluto dichiarare che le mie poesie trovano la luce negli occhi della donna della mia vita e si nutrono delle emozioni dei periodi belli e spensierati. Ma la felicità o qualsiasi cosa che somigli al concetto di felicità non conduce a scrivere romanzi, canzoni, capolavori. Porta ad uscire di casa e a vivere la vita. Chi è contento ed appagato non scrive quasi mai cose degne di nota, non ne ha il tempo, perchè troppo impegnato ad assaporare i momenti preziosi. Le parole educate sono come le sartine d’un tempo e vanno a ricamare un discorso d’amore e a decorare la costruzione di un rapporto.

Tutto ruota intorno all’assenza! Addirittura, penso che ama come si dovrebbe amare solo chi è capace di assentarsi da se stesso. In un certo senso praticare la nudità, cosa ben lontana dal togliersi i vestiti. Per Victor Hugo quello che ci manca ci attira. Nessuno ama la luce come il cieco, mentre secondo Sant’ Agostino coloro che ci hanno lasciato non sono degli assenti, ma degli invisibili, che tengono i loro occhi pieni di luce fissi nei nostri pieni di lacrime. Sembra una caccia all’assenza, si cerca ciò che manca e ci si strugge dinanzi ad un’abitudine spezzata, rituali improvvisamente interrotti, chiacchierate mancate, consigli e rimproveri da parte di chi ti ha amato sopra ogni cosa, come un genitore. Il cantautore Enrico Nascimbeni dichiara tutto l’amore per suo padre, volato in cielo, con la struggente Mio padre adesso e un aquilone. Parole di gratitudine a sottolineare come sia impossibile dimenticare l’amore che c’è stato, la morte vista come un arrivederci e non un addio.

Quando qualcuno mi chiede l’origine di questa fluente ispirazione, rispondo sempre con frasi ad effetto, riservando alla verità un posto speciale. Perchè speciali sono le persone che non fanno più parte della mia vita fisica, ma continuano ad animare l’universo spirituale che mi inghiotte nei momenti più veri e toccanti. Come posso non pensare a mio padre?

Ci penso ogni momento, desidero sognarlo, ma non ci riesco. Ho paura di perdere i ricordi ed invece ho memoria di tutto, persino delle cose che non siamo riusciti a dirci. Cosa mi resta di mio padre? Un patrimonio intellettuale e culturale. Cose materiali, ma soprattutto ? Una scia di bellezza, una luce improvvisa. Forse dei libri, certamente una montagna di parole e il tentativo di scalarla a sogni e illusioni. Attratti dall’assenza, presi da una strana forma di cecità, si desidera la luce. Piena di te è la curva del silenzio, scrisse Neruda; un modo poetico per non colmare il vuoto. C’è la solitudine che non vuol essere colmata, ma accolta e rispettata. Perché ci dev’essere da qualche parte un diritto a sentirsi soli non scritto, ma scolpito nel codice del buon senso.

Caro Babbo,

forse niente serviranno queste parole: nè a riempire il vuoto della tua assenza nè a consolare il mio dolore cronico ed asintomatico. Un lungo addio il nostro, ma nel cuore resta una speranza costruita ad arte, che sia un arrivederci a quando sarò più vecchio e meno saggio di te. Ci rivedremo fra mille anni o quando il tempo avrà smesso di fare l’assurdo lavoro di separare le persone ed invecchiare ricordi, percorsi; ritorneremo a confrontarci in un campo neutro di lavanda e camomilla romana e saremo ancora padre e figlio. Profumeremo per sempre di famiglia.

Provo a descrivermi in una frase, ma è un pò come rinchiudere il mare in un bicchiere. Allora potrei definirmi "Un solitudinista visionario animale sociale ed un cercatore di spiritualità, tutto occhi ed inquietudine, perdutamente innamorato dell'Idea che non è ancora riuscito ad afferrare, col cuore di cristallo. Fregato dai sentimenti". Ritengo superfluo aggiungere i titoli di studio conseguiti, i lavori svolti, gli eventi culturali organizzati e presentati, gli impegni nella politica e nel sociale. E se a qualcuno sta balenando in mente l'idea ( sbagliata) che io possa essere un insopportabile presuntuoso, sappia che è appena caduto nella rete che ho preparato. Io voglio che a parlare per me siano gli articoli; i lettori più attenti ci troveranno frammenti d'anima.