Finchè c’è vita c’è ansia…

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di Maria Rusolo

L’ansia è come una sedia a dondolo: sei sempre in movimento, ma non avanzi di un passo.

Non c’è nulla di romantico nell’ansia o forse dovrei dire non c’è nulla di romantico nell’ansia che si trasforma in panico. In realtà finalmente si comincia a condividere questo malessere, che nasce come una brezza leggera e finisce per diventare una tempesta dopo il caldo che dura per mesi in maniera incessante, la terra si solleva, le nubi si rincorrono, le piante si muovono sino a piegarsi e tutto diventa buio e tetro sino alla liberazione dell’acqua che tutto invade e travolge.

Così si sente chi viene invaso da questa febbricola sotto pelle, che è sempre in agguato anche quando devi affrontare piccole e banali incombenze. Tu sai che è lì, presente e muta per ore ed ore, e poi senti il respiro diventare sempre più difficoltoso, sino a sentire il cuore che pulsa più forte e più forte, il sudore investe la pelle e gli abiti e mentre ti sembra che tutto si muova, pur essendo immobile, le gambe si piegano e resti sul pavimento in cerca di un appiglio a cui aggrapparti per non essere risucchiata al centro della Terra.

Chi ne soffre e chi ne ha sofferto tende a nascondersi, a mostrarsi adeguata sotto un paio di occhiali da sole, che nascondano le occhiaie di notti insonni, perché nel buio quando le difese si abbassano e resti distesa, tra le lenzuola pulite, che temi possa arrivare a scuotere la calma apparente del sogno. Per carità ogni essere umano ha le sue di dinamiche e tecniche per tenerla a bada, c’è chi riesce a piangere ed a pulire l’anima, chi impara, come nel mio caso delle tecniche di ” evitamento”, rimuovere cioè tutte quelle circostanze che la fanno esplodere. Sin dalla più tenera età ne ho sofferto, con ripercussioni serie anche sul fisico, prima una forte alopecia che mi ha fatto perdere tutti i capelli e poi l’esplosione della vitiligine, le macchie bianche che come stimmate mi ricordano che lo stress tappato esplode all’esterno e si lascia riconoscere, si lascia identificare che tu voglia o meno.

Chi come me ne ha compreso la causa, ha lavorato su se stessa, sa bene che ci si può scendere a patti, siglare una sorta di transazione, ma che non scompare, certo che si cura, certo che si può stare meglio, ma si diventa come una preda in una foresta sempre con i sensi allertati per evitare di essere divorata da un animale feroce. Fa parte della vita, mi sento dire da sempre, che vuoi che sia, mi sento ripetere, ne soffrono tutti ,e banalità che si aggiungono a questo elenco di luoghi comuni. Nessuno nega che l’ansia positiva sia parte integrante della esistenza, uno stimolo primordiale alla difesa, ma è cosa ben diversa dalla patologia, dalla malattia, che si fa finta di non riconoscere o che si teme di avere.

Prima ci si guarda nello specchio con onestà, prima si riesce a raggiungere un minimo di equilibrio instabile e prima si comincia il cammino verso la consapevolezza del problema, perché la società ci impone di essere vincenti e perfetti e quindi non si può soccombere o decidere di stare al buio in casa durante un attacco. Mi sono sentita dire tantissime volte, che vivo come un’ asociale o che sono aggressiva nella professione o troppo dirompente in politica, in realtà in questo modo io tengo a bada la mia nemica, mi chiudo in uno spazio protetto che mi consente di sopravvivere agli attacchi. So bene che questo non è il modo migliore per affrontare le cose che spaventano, ma nella vita si deve scendere a patti anche con la paura, la si deve chiudere nella tasca più interna della borsa e sperare che non scappi e salga lungo la schiena.

Io credo che si debba parlarne, cercare di normalizzare ciò che per molti è ancora un giardino sconosciuto, o quando è peggio un tabù, come in tutti i casi in cui si affronta la malattia mentale. Comprendere le cause, capire i sintomi e gli effetti e cercarsi nella folla e riconoscersi, in fondo il silenzio ha sempre generato solo mostri , li ha resi più grandi e forti. Insieme, nelle nostre storie, possiamo restare a galla o anche decidere di imparare a nuotare.

“È detto che la nostra ansietà non svuota il domani dei suoi dispiaceri, ma soltanto svuota l’oggi della sua forza

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.