Il merito, questo sconosciuto

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di Maria Rusolo

Di tutte le qualità umane, quella che ammiro di più è la competenza. Un sarto che è davvero capace di tagliare e adattare un soprabito mi da l’idea di essere un uomo davvero ammirevole, per lo stesso motivo un professore universitario che sa poco o niente delle cose che presume di insegnare mi dà l’idea di essere un imbroglione e un mascalzone.

La discussione che tiene banco da un po’ di giorni riguarda il concetto di merito declinato come baluardo, al meno per il momento, nell’ambito del ministero della Istruzione del nuovo governo a guida Meloni. Il merito è stato negli ultimi decenni il vero e proprio tallone d’Achille della sinistra, annullando di fatto ogni mobilità sociale.

La competenza è stata distrutta dal concetto di affiliazione, di raccomandazione, dal familismo amorale e dalla gratitudine riconosciuta al potente di turno nei confronti dei propri clienti, con lo svilimento di ogni crescita personale ed acquisizione di competenza da parte degli individui. Nelle scuole, nelle università, nelle aziende pubbliche e private vale il principio della cooptazione e del ” a chi appartieni”, tanto in uso nella nostra terra.

Come si faccia a mettere in discussione la regola base per cui a ciascuno ” secondo il proprio merito” è cosa che sfugge ad ogni sensata comprensione. Che tipo di risposta si può dare al figlio dell’operaio che laureato in medicina o in giurisprudenza è costretto a lasciare il nostro Paese, perché non trova spazio se non si piega? Il merito non è ideologico è al contrario lo strumento che consente di riconoscere le attitudini, le qualità e l’impegno di ogni singolo individuo in ogni contesto in cui realizza la propria personalità. Si fa volutamente una confusione di metodo per aprire un dibattito che non esiste, come accade spesso con tante questioni nel nostro Paese, si dice che in questo modo si lasciano dietro i più fragili, i meno forti, quelli con meno possibilità, ma non è vero e non è così. Lo Stato deve garantire a tutti le stesse possibilità, ma non può penalizzare o appiattire, ma esaltare, sostenendo chi ha difficoltà economiche ai fini dell’accesso alla cultura ed alla istruzione, ma non cancellando le eccellenze, anzi offrendo loro ogni spazio possibile perché siano a disposizione di un contesto ed aiutino in un sistema fondato sulla solidarietà, la crescita umana e produttiva di una comunità.

A me hanno detto moltissime volte che mostrare le proprie conoscenze può addirittura creare negli altri un senso di fastidio, che in qualche modo si può essere etichettati come presuntuosi, in questo sgangherato Paese, ma così non è altrove. Diciamolo con onestà l’aver ucciso il merito ha consentito ad una classe dirigente di scappati di casa di creare sacche di servi, da utilizzare all’occorrenza, di favorire la dinamica dell’assistenzialismo cieco e, di impoverire il paese.

Una Comunità che non punta sulle conoscenze non ha servizi decenti, non ha un pil che cresce, non punta sulla ricchezza immateriale e non investe sulla cultura e sulla istruzione. Aver difeso tutti anche quando erano fannulloni e meno capaci ha determinato che ci si adagiasse, che anche chi poteva fare e costruire, vive una esistenza noiosa e grigia di passa carte. Perché dovrei migliorarmi e crescere se non potrò mai salire le scale ed aspirare ad un posto con maggiori responsabilità e ad una migliore retribuzione?

In questa logica hanno responsabilità enormi anche i sindacati e questo è innegabile, per cui le parole di Landini suonano più come una difesa di ” casta” che come una riflessione seria fondata su elementi certi. Ribadire che si è contrari al principio dell’Homo homini lupus è scontato e dire che la valorizzazione del merito significa aprire una lotta alla prevaricazione tra fratelli è assolutamente lontano da ogni verità. La competenza è la esaltazione della giustizia sociale e l’una senza l’altra non ha senso, è il sistema che deve creare gli anticorpi, perché nessuno venga lasciato indietro.

Quando si è curati meglio nella sanità privata che in quella pubblica e quando le scuole private sono più competitive di quelle statali, quando mancano gli insegnanti di sostegno, quando negli uffici si premia chi piace al dirigente, e quando viene assunto il prof universitario perché figlio di qualcuno si è realizzata uno dei pilastri della nostra Costituzione?

La competenza. L’unico rigore che ci salva dalla superficialità, dalla pigrizia e dal pressapochismo.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.