L’assenza dello Stato

Condividi su

di Maria Rusolo

Gli italiani sono privi di una nozione di libertà, sono indifferenti al senso profondo dell’autonomia e delle responsabilità, esitano fra la rassegnazione dello schiavo e la rivolta anarchica.

Il tema del fascismo risuona nella nostra storia quotidiana ogni volta che la destra sale al potere, perché è più semplice spaventare gli Italiani con lo spauracchio delle soppressione delle libertà individuali e collettive, piuttosto che riconoscere le ragioni storiche, politiche e culturali che hanno condotto il nostro Paese alla condizione degli anni Venti ed a quelle odierne. Si ha l’abitudine nefasta nella classe dirigente e tra gli intellettuali di non riconoscere le proprie responsabilità e di individuare un nemico con il quale confrontarsi, dimenticando che quando non si coltiva un terreno per quanto fertile possa essere, questo restituirà solo erba infestante e nulla da cui poter trarre nutrimento per le future generazioni.

Non nego in alcun modo che esistano questioni sulle quali la destra ha una visione di limitazione, uno sguardo ottuso e cieco, per carità sarei una sciocca, la razza, il culto della patria, l’etnia, il nemico che minaccia i confini, la natalità e le sfilate con il tricolore, ma da sempre sono portata ad aspettarmi parole diverse dal mio pensiero, dalla mia formazione e dalla mia cultura, per cui non scomodo un retaggio storico, piuttosto mi pongo nella ottica di combatterlo, di comprendere come arginarlo.

Occorre un’analisi seria e concreta di che cosa non va nel Paese per poter mettere un freno alle percentuali bulgare con cui la destra ha vinto le elezioni e continua a vincerle nelle regioni e nei comuni al voto. La gente vota poco, si astiene e quando non lo fa esprime una scelta non valoriale o ideologica, ma di pancia e di reazione a situazioni che non funzionano e non hanno funzionato. L’ inflazione cresce, non esistono servizi alla persona adeguati, la scuola negli ultimi decenni ha perso il proprio ruolo di guida e di formazione delle future generazioni, l’opinione pubblica si è venduta al miglior offerente raccontando un Paese che non esiste più fatto di pensionati privilegiati e di giovani costretti a dover scegliere se vivere del proprio lavoro o se restare a stage vicino casa.

Penso a quei ragazzi che protestano contro il caro affitti e che si sentono rispondere che nessuno ha detto loro di studiare fuori regione, come se un diritto dovesse essere barattato con la soluzione più semplice e facile. Non regge più il paternalistico richiamo al sacrificio, non regge più l’atteggiamento di chi parla ai ragazzi di un’epoca che non esiste più. Nessuno pare rendersi conto che oggi più si entra tardi nel mondo del lavoro più lo si fa con stipendi da fame, più non si avrà una pensione dignitosa con la quale vivere in vecchiaia. A tutto questo non doveva dare una risposta la destra, ma lo doveva fare e lo dovrebbe fare la parte riformista e social- democratica della cultura che si arrocca su posizioni insostenibili e non risolutive. Mi si dica a cosa serve andare oggi dinanzi alle Università quando gli investimenti in questo mondo essenziale sono diminuiti in rapporto sia al Pil che alla Spesa pubblica negli ultimi vent’anni? Quando si è deciso in piena pandemia di erogare bonus a pioggia a chi una casa la possiede ed erogare una mancietta agli autonomi e liberi professionisti che oggi non riescono a sostenere la pressione fiscale e le spese delle attività e degli studi?

Le riforme chi doveva farle non le ha volute affrontare con coraggio, si viaggia a vista e con il freno a mano tirato e si corre dietro ad un aumento del costo della vita che riguarda più i lavoratori dipendenti ed a partita iva che i pensionati. Allora di chi è la colpa? Si dedicano pagine di giornale ad un conduttore che lascia la Rai per una emittente privata, come se le aziende pubbliche non fossero da sempre espressione grossolona di chi di volta in volta sale al potere. Ed eccolo lì dietro l’angolo il discorso di una certa sinistra contro l’occupazione della destra di tutte le poltrone. Intanto nulla cambia!

Si rischia di perdere i soldi del Pnrr, ed i comuni non sono in grado di presentare progetti validi per la gestione dei servizi, per i piani di zona, per gli asili nido, per il sostegno alle donne ed ai giovani. Si continuano a sottoscrivere contratti precari anche e soprattutto nella pubblica amministrazione e si combina un pasticcio nella riforma della giustizia. Allora io mi chiedo davvero non sarebbe più utile ingaggiare una battaglia sui temi, rimettendo al centro della discussione il merito e la capacità? Ed ancora si candidano personaggi che hanno guidato il Paese e le comunità per decenni, vecchi che hanno pasteggiato con il potere e la clientela e li si conduce ad una vittoria in nome della clientela che hanno saputo costruire sui territori, si parla di competenza e di merito e poi si cede alle vecchie abitudini, si parla di tonno in scatola e poi si divora anche la scatola, e si continua ad ignorare che esiste una Questione Meridionale che nessuno vuole vedere. Perchè? Non si è ancora consapevoli che quando lo Stato manca, non è forte e sfrutta le giovani generazioni si lascia spazio alla criminalità organizzata di spadroneggiare senza le armi da fuoco, ma con le armi della occupazione della cosa pubblica e della vita quotidiana.

Mi chiedo se si abbia il coraggio di affrontare la verità nuda e cruda per una volta, prima che sia il disastro più completo e che una comunità piena di ricchezze e di bellezze sia lasciata preda di sciacalli a morire in un letto di ospedale senza alcuna assistenza, attendendo il momento opportuno per staccare le macchine. Onestamente comincio ad essere stanca di non poter fornire risposte e di dover combattere una battaglia che appare persa in partenza. La libertà è prima di tutto un dovere e poi un diritto e senza questo passaggio di auto- responsabilità si lascia lo spazio ad ogni forma di dittatura possibile.

“Bisogna fare tutto il bene possibileamare la libertà sopra ogni cosa e non tradire mai la verità.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.