Schiave del proprio corpo

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di Maria Rusolo

“Non è libero chi è schiavo del proprio corpo.”

Da dove viene l’ossessione per il corpo e perché riguarda soprattutto le donne sin dalla notte dei tempi. Il mito della giovinezza eterna, intesa come perfezione della pelle e delle forme ha sempre caratterizzato il mondo femminile, e se nel passato colpiva quelle che appartenevano a classi sociali più elevate, a cui veniva richiesto di essere sempre e comunque gradevoli, ad un certo punto del cammino della storia è diventata una croce, una cicatrice per tutte indistintamente.

Le pressioni cominciano sin dalla più tenera età, il controllo maniacale, del peso, dei capelli, degli abiti, e di come dobbiamo presentarci al cospetto della società diventano un elemento costante ed ineluttabile della nostra esistenza. A noi non è concesso nulla, se ci mostriamo in spiaggia con smagliature o con la cellulite o con corpi non in forma proviamo un certo disagio, siamo spaventate da come il mondo ci percepisce, ma siamo innanzitutto noi a non percepirci secondo una logica di banale normalità. Dobbiamo essere belle, e per esserlo dobbiamo essere magre, dobbiamo entrare in jeans stretti che ci strizzano e non lasciano trapelare nulla.

Ci dobbiamo annullare, essere per lo più trasparenti, gareggiare con le modelle e le attrici che sfoggiano corpi mozzafiato dalle copertine dei giornali per uomini e per donne. Pensate che la consapevolezza che oggi si sbandiera da parte di qualche attrice e diva del pop, anche in presenza di corpi normali sia una nuova rinascita, sia una evoluzione sociale che ci lascia libere dalle catene? Io credo che sia utile, ma che non risolva.

Quando si vuole colpire una donna pensante, o che ha opinioni che non condividiamo, il primo attacco riguarda il suo corpo, la sua florida armonia, il suo non essere omologata e diventa notizia quella della cantante che si è sottoposta ad una dieta e fa sfoggio di una taglia 42 sul palco di Sanremo. Intendiamoci ciascuno può essere quello che vuole ed approcciare il mondo per come si sente, con più o meno chili, ma non è questo il nocciolo della questione, perché dietro questa ossessione si nasconde il peso di quello che le donne devono sopportare per guadagnarsi uno spazio sin dalla più tenera età, dover piacere al maschio diventa la regola per essere scelte, per essere apprezzate nel mondo del lavoro, nell’ambiente scolastico, nella vita privata.

Devi essere quello che gli altri vogliono, devi comprimere nello stomaco le tue frustrazioni, le tue distanze, le tue differenze, non devi lasciare che gli altri pensino che tu sia debole, devi costruirti una corazza e per farlo devi agire almeno in apparenza secondo le regole imposte da qualcun altro per te. E non c’è uguaglianza che tenga se non si parte da questo elemento, non c’è parità salariale che tenga sino a quando a noi saranno richiesti anche sacrifici estetici. E non si può capire quali danni siano stati fatti in questi anni in nome di questa presunta conformità estetica.

Il numero delle persone affette da disturbi alimentari oggi è solo più visibile, ma è soprattutto in crescita e non colpisce solo le adolescenti, ma le bambine che iniziano il percorso scolastico e le accompagna sino all’età adulta. Ad un uomo viene richiesto di essere in salute, ma non lo offenderai mai per qualche chilo in più, se non ti piacciono le sue idee. Il corpo è lo strumento attraverso cui si schiacciano ancora una volta le donne, le si mette in un angolo, per spingerle ad essere fragili ed a sentirsi inadeguate, a non ribellarsi, a non alzare la mano a scuola, a non primeggiare. Dite che esagero? Non credo, ho vissuto e vivo un conflitto perenne con il mio aspetto, non ho più il controllo del mio corpo da non so più quanti anni, e nella mia famiglia generazioni di donne infelici a cui non veniva consentito di essere quello che volevano hanno vissuto lo stesso dramma e lo stesso incubo.

Ho vissuto costantemente nella ricerca della approvazione altrui, cominciando con mio padre, che mi diceva che se volevo essere considerata intelligente, dovevo quasi nascondere le mie forme, tagliarmi i capelli, non ” apparire” insomma, ho passato la mia adolescenza tra la privazione del cibo, tra il calcolo delle calorie e le abbuffate ed il vomito, per placare le mie ansie e le mie paure, che sono lì in fondo allo stomaco chiuse in una scatola, solo perché non ho concesso loro di prendere il sopravvento. Ho avuto una madre che ha vissuto un disagio dello stesso tipo, con una nonna che in tempi in cui le nonne normalmente sfornano timballi e panzarotti, mangiava tutto scondito e pesato.

Qualcuno potrà pensare che sia una peculiarità della mia famiglia, un disturbo che non può e non deve essere condiviso con le altre, ed invece non è così, perché io tra le donne ci vivo e ci ho vissuto, ed ho vissuto a contatto diretto ed indiretto con gli uomini. Lo vivo sulla mia pelle lo stigma dello stereotipo, al punto che avendo fatto politica le offese che ho ricevuto hanno sempre avuto come punto strategico il mio di corpo ” troppo magra, troppo grassa, i capelli che la fanno sembrare il remake di Arancia Meccanica, la mucca dalle macchie bianche”. Potrei continuare all’infinito, a nessuno interessava quello che dicevo, come lo dicevo. Pensate davvero che per quanti sforzi si facciano queste cose non lascino cicatrici scavate nella pelle? Il corpo ha memoria, l’anima ha memoria, una memoria lunga ed eterna, che condiziona quello che siamo e quello che saremo.

Perché racconto oggi, tutto questo? Perché mi guardo intorno e scorgo una nuova generazione di donne con le mie stesse difficoltà e vorrei far capire loro, che si può fare una battaglia per essere diverse e per amare se stesse; è difficile, estenuante, ma merita tempo ed attenzione e credo che raccontarci non sia la banale vittimizzazione, o la voglia di una pacca sulla spalla, ma sia il modo per affrontare la vita, con le sue buche profonde, provando a saltarle dandosi la mano, insieme, per un vero viaggio verso la emancipazione umana e sociale.

“Stai pur certo che non sei tu ad essere mortale, ma solo il tuo corpo. Perché ciò che la tua forma esterna rivela agli uomini non è te stesso; lo spirito è la vera essenza di se stessi, non la figura fisica che può essere indicata col tuo dito.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.