Tutti uguali, affinché nessuno sia uguale

Condividi su

di Maria Rusolo

“Esiste un solo bene, la conoscenza, ed un solo male, l’ignoranza.”

Susciterò polemiche stamane, non che non sia abituata, ma proverei a fare un discorso semplice e diretto in relazione a quanto sia importante guardare il mondo senza gli occhiali del pregiudizio, cercando di analizzare i fatti per come si presentano. Sento di vivere un tempo difficile, ma di transizione, di passaggio, e credo che ogni fase drammatica debba instillare nella gente la capacità di perseguire il bene comune, valutando con attenzione cosa ci sia stato tolto e cosa sia davvero importante per immaginare un mondo più giusto ed equo.

Equità e non mera uguaglianza, lo ripeterò sino allo sfinimento. La società si è evoluta, viviamo meglio e più a lungo, ma con l’illusione della crescita felice ci siamo ancorati ad un sistema, che poi mostra tutte le proprie crepe e si dimentica degli ultimi e dei fragili. Esiste un problema serio, che spesso non viene considerato, non possiamo dare risposte semplici a problemi complessi, e non possiamo sperare che le risposte siano indirizzate solo in una ottica di piccolo spazio nel quale viviamo o meglio dovrei dire, esistiamo.

A qualsiasi latitudine, ciascuno nel suo ha la necessità di versi riconosciuti precisi diritti umani, ma non formalmente sulla carta, ma nella sostanza, e nell’agire e nel vivere quotidiano. Non esiste libertà che sia reale, se esiste il disagio ed il bisogno, e non esiste prospettiva e sogno, in una vita fatta solo di oggi e non di domani. A dirla tutta non occorreva la pandemia, perché tutto questo fosse evidente come una frustata in pieno volto. Esiste un sud del mondo, esiste una questione meridionale non risolta, che come fa notare bene Ernesto Galli della Loggia, impedisce una crescita concreta del nostro Paese e della Comunità Internazionale.

Non si può immaginare una visione Europeista senza risolvere questo enorme buco di differenze in termini di accesso ai servizi alla persona, ed il primo ed il più importante momento per risolvere le disuguaglianze e l’assenza di sviluppo dell’essere umano è la cultura educativa. Amici miei si parte dalla educazione al bello, dalla istruzione, non come scolarizzazione obbligatoria, ma come costruzione di un percorso empatico tra le persone, tra i giovani, proiettati in un futuro fondato sul pieno sentire, sulla capacità di interiorizzare la conoscenza, come mezzo per superare le differenze umane e sociali.

Il diritto allo studio è stato progressivamente cancellato, attraverso riforme scellerate dirette a trasformare la scuola in un parcheggio nozionistico che non spinge gli individui a sviluppare una coscienza critica, e questo si ripercuote su tutto quanto attiene alla vita quotidiana, alla possibilità di immaginare una società nella quale le aspirazioni e le visioni siano legate alle aspettative, alle attitudini ed ai sogni. Si alimenta una cultura di azienda, un sistema scellerato in cui il bello si lega al profitto ed alla deresponsabilizzazione della classe dirigente e dove la burocrazia è sintomo di ordine e controllo delle masse.

Tutti uguali, affinché nessuno sia uguale. Si deve ripartire da questa consapevolezza , se si ha la volontà di superare la banalità del male, della incapacità che diviene regola, dell’abuso dell’istinto e della violenza morale e fisica come mezzo di risoluzione di ogni conflitto. Abbiamo costruito cattedrali, senza preoccuparci che le stessero fossero realmente ” vissute”; abbiamo investito in una intelligenza meccanica, senza preoccuparci di quella emotiva, o superiamo questa visione o il destino che abbiamo dinanzi non è quello dell’alba di un nuovo mondo, ma quello del tramonto del vecchio senza alcun ponte verso il futuro.

Una classe dirigente che si rispetti ha la capacità di leggere il presente pensando già al domani, una classe dirigente che si rispetti vive già immaginando la futura generazione, imparando dal passato, non restandovi aggrappato.

Accusare gli altri delle proprie disgrazie è conseguenza della nostra ignoranza; accusare se stessi significa cominciare a capire; non accusare né sé, né gli altri, questa è vera saggezza.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.