Vivere spettinati…

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di Maria Rusolo

Io vivo spettinata perché tutte le cose belle, veramente belle di questa vita, spettinano.

Quando una donna si alza al mattino e decide di cambiare la propria immagine parte inevitabilmente dai capelli. In effetti è la cosa più semplice da fare, in linea di massima. Se uno prendesse in mano le mie foto degli ultimi vent’anni, scoprirebbe molto di me, come suppongo potrebbe accadere per qualsiasi donna. Ho avuto sempre un rapporto conflittuale con la mia immagine, anche in questo non penso di essere sola, una relazione di odio più che di amore, non è un segreto che non mi piaccia quasi nulla di me, ma questo accade quando si vive in una famiglia di donne piuttosto belle, con un padre piuttosto ” severo” su come ci si debba presentare all’esterno.

Diciamo che da bambina mia madre mi ” tonzava” dal barbiere, me lo ricordo come un incubo, alla mia prima comunione ero l’unica a non avere trecce e code di cavallo. La pratica era quella per la quale si doveva essere in ordine, al mattino non si doveva perdere tempo, con mollettine e nastri per i capelli, ma soprattutto non ti dovevi omologare. Una sofferenza atroce, credetemi, mi scambiavano per un maschio e non era per niente piacevole, ma io dalle avversità ho sempre tratto elementi positivi, per cui se mi volevano così, io giocavo a pallone, litigavo con i compagni di scuola, e tornavo a casa sudata e sfatta. Poi quando ho cominciato ad avere un potere decisionale li ho fatti crescere e tinti di nero modello Morticia Addams, e pallida come ero davo la sensazione di respingere ancora di più chi mi trovavo di fronte.

Il primo taglio con il passato l’ho dato quando ho lasciato il fidanzatino della fase adolescenziale, sono andata dal parrucchiere e li ho tagliati corti alla soldato Jane. Probabilmente all’epoca ero una delle poche a portarli così, e mi sentivo ancora una volta diversa, o forse volevo sottolineare la mia ” unicità”. Ad ogni passaggio e fase complicata, sfogavo sui capelli, che risentivano anche delle mie ansie più atroci. A vent’anni li ho persi, andati, spariti, ricordo il viaggio della speranza a Roma in un centro di eccellenza, per fermare quella piaga, e mia madre che mi consolava.

Ricordo che il medico, guardandomi, senza neanche visitarmi mi sorrise e disse e che era l’emotività e la mia eccessiva sensibilità e che sarebbero cresciuti, più forti e belli di prima, ma immaginatevi cosa possa significare per una giovane donna portare un fardello simile che mina ogni sicurezza. Per mesi ho schivato lo specchio, ma poi ho superato anche quella battaglia. Certo rispondere agli sguardi dei compagni di uscite o dell’università non è stato facile, ma ciò che non ti uccide in qualche modo ti rende più corazzata. Corti, medi, lunghi, biondi, neri, rossi, castani, credo di non aver provato solo il rosa peppa pig, anche se sono stata tentata, ma alla mia età sarebbe imbarazzante andare in udienza, con la testa come un cartone animato.

Ancora oggi ricomincio dalla ” testa” ed ho virato, dalla biontitudine alla Claire al Castano, perché dopo aver compiuto 46 anni, ho bisogno ancora di cercare la mia dimensione, di evolvermi, di cambiare, di sentirmi in pace con me stessa. Ho la voglia si sperimentare o di illudermi che altre strade siano possibili e che altri continenti possano essere esplorati. Cerco il mio centro di gravità non permanente, ma quasi, è ho voglia come una esploratrice di trovarmi altri spazi nei quali realizzare i miei sogni da ragazza, per mettermi in discussione, per porre me stessa, direi finalmente al centro del mio mondo, senza paura anche del giudizio altrui, delle condanne senza appello, e senza revisione. Voglio essere molto più di una Maria avvocato, figlia, non madre, politica, voglio andare oltre ogni etichetta. Capisco che qualcuno possa pensare che un cambio di capelli sia solo tale, ma fidatevi e chiedete a qualunque donna conosciate, non è così.

Io senza capelli
Sono una pagina senza quadretti
Un profumo senza bottiglia
Una porta chiusa senza la maniglia
Biglia senza pista
Un pescatore sprovvisto della sua migliore esca
Don Giovanni senza una tresca
Io senza te uno scettro senza re

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.