Il potere calmo del silenzio

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di Raffaele Carotenuto – ph Yara Nardi ANSA REUTERS

Si può interrogare il silenzio? Sembrerebbe un paradosso ma forse si può. Questo perché il silenzio esprime, diviene soggetto “parlante”. Il silenzio attira, produce sguardi, genera gesti, crea attenzione, linguaggio, reciprocità.

In una epoca in cui a dominare è la parola, la comunicazione, il gridare, l’ossessione del fare rumore, il silenzio può dirsi “fuori” luogo? Vediamo.

La dimensione silente, questa sorta di nido celato, è oggi forse la forma più accogliente di comunicazione. Non “intelligenza artificiale”, scoperta rivoluzionaria di indubbia utilità per molti aspetti di tecnologia avanzata, ma pericolosa se utilizzata in modalità improprie o hackerate. Il “silenzio” inteso come fermo di pienezza, come narrazione di essenze nude, spogliate da qualsiasi orpello, assenti di parole e suoni, ma vibranti della compiutezza di raccoglimenti, sguardi, movimenti, percezioni. Una dimensione sospensiva del “viversi” che oggi sembra prendere luce anche attraverso il corpo di nuove tendenze di partecipazione sociale, di cui provo a toccarne alcuni modelli.

  • Un primo diretto esempio arriva dai cosiddetti silent party. Raduni dove non si ascolta musica e non si parla, altrimenti si viene gentilmente accompagnati alla porta. Portano il nome di “One Night” e si concentrano unicamente sull’incontro e ascolto tra sguardi e meraviglie immaginarie. I gestori di questi particolari ed insoliti raduni parlano di “paradosso sensoriale”. Ci si lascia andare a una sorta di meditazione proiettata sugli sguardi, sulla postura, sui movimenti lenti dei presenti, sulla sola percezione di sé soggettiva ed emotiva, sul sentire della propria voce interiore. Esattamente il contrario di ciò che avviene solitamente in discoteca, dove si canta, si balla, si fuma e si beve. Alla esternazione del sé (discoteca) si contrappone la sola interazione con il proprio sé (silent party).

E si vive un silenzio “parlato”.

Anche nell’epoca della massima digitalizzazione, con l’I.A. che ha rivoluzionato la disciplina scientifica dell’informatica e non solo, la rappresentazione comunicativa delle parole “non fisiche” assume un rilievo importante su cui poter immaginare varie linee di letture a confronto. A partire dai social network.

  • Un coacervo di moltitudini di qualunque estrazione dove imperano foto di luoghi, persone e cose, talvolta anche non accompagnate da parole o da emissioni di suoni, solo sequele di emoticon o immagini da mostrare. A partire dal ritrarre volti, corpi, spesso lontani o addirittura del tutto falsati nelle proprie fisionomie ritoccate, per apparire quello che non siamo più o che avremmo voluto essere da sempre. E che ora diventa finalmente possibile, o meglio, “concesso” con l’illusione dell’apparente vero. Una rappresentazione, quindi, senza il peso/valore delle verità d’essenza delle cose o persone, ma legittimata da un diffuso senso del solo auto-proporsi.

Una comunicazione simulata che, nella maggior parte dei casi, non rappresenta più la realtà. Ma un mondo a parte che ne prende una postazione parallela, con tutta la trasposizione di quella “vita” che non arricchisce, non trasmette, se non fotocopie taroccate di sé stessi.

Arrivando all’assurdo, in alcuni casi, in cui gruppi di amici conosciutisi solo virtualmente per anni, nel momento in cui si sono visti de visu, per una frequentazione diretta, si sono ritrovati totalmente “altro” dall’immaginato, nel comune imbarazzo di non riconoscersi l’uno con l’altro. In questa circostanza, il potere del “non parlato” o del “non suono” funge da funzione regressiva, artefatta, forzosamente interpretata, con la “tastiera” che si trasforma in strumento di emissione (di silenzio) negativo, venendo meno alle sue potenzialità rigeneratrici. Il silenzio per rendere nella sua massima essenza ha bisogno, come la “natura”, della verità di “essere o non essere” senza induzioni precostituite.

La sua linfa vitale trova terreno fertile quando diventa occasione preziosa per infondere reciprocità, alimentare grazia, esprimere, creare, nutrire.

 

  • Nel 1889 nasce la più grande magia del cinema muto, il “vagabondo” più amato della celluloide e tra i cineasti più influenti del secolo scorso, Charlie Chaplin.

Debutta nel 1914 e con il cortometraggio del 1916, interpretato, diretto e prodotto, diventa “il vagabondo” che commuoverà il mondo, ovvero “Charlot” per sempre. Figlio della società americana di quel tempo storico, rappresenterà un alienato sociale che guarda con occhio critico al progresso industriale e che per questo ne pagherà non poche conseguenze.

Il cinema muto incarnato da quel personaggio, misto tra genialità, follia, solitudine e poesia, romperà tutti gli argini d’immaginazione visiva di allora, e aprirà alla più sublime forma espressiva senza “parola” che l’umanità abbia riconosciuto.

Fu talmente pervasivo e dirompente da causare al grande autore l’ordine di allontanamento da parte del governo dagli Stati Uniti per circa 20 anni.

Ma non riuscendone, quest’ultimo, mai a fermarne l’evoluzione.

Una vera e propria rivoluzione che andava oltre il cinema e toccava nuove visioni sociali. Letture, emozioni, linguaggi spogli di parole, incarnati nella sola espressione del viso, con volti, gestualità, muscoli facciali, rivolti nudi al mondo.

Riso, pianto, lacrime, gioia, tristezza, dolore, pause, senza suono né rumori. Il silenzio naturale, non imposto, che lascia comunicare la sola “voce” della vita.

  • Marzo 2020, arriva la più grande emergenza mondiale, il Covid, la “vita chiusa dentro le mura di casa”. Un virus denominato Covid-19 che, al di là delle diverse letture poi succedutesi e tuttora in essere, tra posizioni radicalmente opposte di analisi, indagini, imputazioni, accuse, smentite, piegherà letteralmente l’umanità, mutilandola per circa due anni di ogni forma di contatto fisico relazionale: amore di coppia, legame familiare, parentale, amicale, professionale, e quant’altro di stretta connessione.

La “distanza” fisica come unica forma di comunicazione da “conservazione” in vita. Comunità rese quasi allo stato primitivo, con la trasmissione sociale fatta passare, in molti casi, attraverso il solo ritrovarsi in altezza di palazzi, tra balconate, finestre, terrazze, riversi di volti straniti e increduli. Una sorta di ritrovo in serata per combattere insieme la paura “dell’ignoto” su quanto stava accadendo. Chiusi in stanze d’aria fatte di mattoni recintati, ostaggi di angosce camuffate da finte liberazioni, canti d’insieme come strette illusorie di abbracci, grida lanciate come sassi alle solitudini di spazi occlusi, senza diritto alla voce del corpo. Ognuno chiuso nel nido “dell’’isola che non c’è”.

In qualche maniera una forma alternativa di “silenzio”, ma indotto, obbligato, non nato da una scelta, ma da un comando di deprivazione. Quello più alienante e denudato della sua bellezza, ma non per questo esente da una sua funzione, ovvero divenendo, in quella specificità di situazione anomala e paradossale, l’assolo di un vuoto come traino di sopravvivenza in attesa del “rumore” del ritorno alla vita. Il silenzio, quindi, che attraversa e alterna, come la vita, fasi di pienezza a stati di tempesta, tempi di luce a cammini al buio, lasciandoci in aspettativa della quiete rigeneratrice del suo potere.

 

  • Pieno periodo Covid. – Roma, “Piazza San Pietro”.

Inquadrata sugli schermi in mondovisione, tutta spoglia, immortalata come mai vista prima, statica, impietosa, priva di movimento, in un silenzio assoluto, dove anche la pioggia battente sembrava toccare piano il calpestio del suolo, quasi a rispettare anch’essa quel silenzio tombale.

Unica figura imperante: Papa Bergoglio, l’amato Papa Francesco, che conduce quel silenzio spettrale in una meditazione spirituale tra le più alte che la terra riconoscerà tra i suoi passaggi storici. L’uomo più vicino a Dio che si rende il tramite tra il passaggio dell’umanità da una condizione di silenzio imposto all’accompagnamento a una dimensione comunitaria di condivisione, da un silenzio di paura al contrasto interiore vivo.

La liberazione attraverso la preghiera al Signore dalla sua sola VOCE di prescelto, quasi persa in quella piazza dal vuoto assordante di spazi silenti, come forza che porti via dall’isolamento e diventi conquista di quel “potere” calmo dentro di luce e rinascita.

Un silenzio amico, un silenzio solidale, un silenzio vita, che apra alla speranza umana.

 

Ma “il potere calmo del silenzio”, per praticarlo, deve essere scelta, libertà, ispirazione a trasformarsi in orizzonte di vita, a guidare il proprio mondo da seduti, non necessariamente in piedi d’altezza, ma osservando e ponendosi in sua accoglienza, con armonia e silente ascolto.

Come quella luce calda che arriva e riscalda gli angoli celati del nostro vivere.

In un mondo parlato e scritto, ordinato all’odio sociale, che crea esistenze parassitarie, solitudini parlanti, il silenzio può assurgere a difesa del sé, limitare i danni materiali dell’urlo comunicativo, contenere l’emorragia parlata, contrastare il fiume in piena dello scrivere demolitore. Il silenzio può essere un ponte di transito che arricchisce l’introspezione, l’esplorazione di un’anima, l’alternativa.  Non è costretto a spiegare collera, paura, perdita. È l’altra faccia del logos, crea dualità: silenzio/parola, silenzio/discorso, silenzio/ragione, silenzio/spiegazione. La non-parola racconta, comunica, crea spazio. In questo tempo perturbante la rivoluzione del silenzio può divenire risorsa/valore.

“Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare. Forse perché non può essere comprato. L’animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca” (Charlie Chaplin).

Allora, in una epoca in cui a dominare è la parola, la comunicazione gridata, l’ossessione del fare rumore, il silenzio può “farsi” luogo? Se si è aperti ad una bellezza “altra”, SI.

 

Raffaele Carotenuto, di anni 55, nasce e vive a Napoli, nell’area est cittadina. Laureato in Scienze dell’amministrazione, ha rivestito, nel lungo percorso formativo-professionale, cariche politiche, ruoli istituzionali, figura di consulente tecnico in ambito di staff assessoriali. Giornalista pubblicista, iscritto all’Ordine Nazionale dei Giornalisti. Divulgatore e analista di storia e tematiche di approfondimento meridionalista. Scrittore a autore di quattro libri: “Napoli. La città e il Palazzo” - Storie di ordinaria provvisorietà. (2008) “L’importante è che piova”. (2011) “Napoli, Sud, L’Altra Italia” - Disuguali tra uguali. (2017) “Destinazione Mezzogiorno”. (2021) Scrive e cura “rubriche dedicate” per le seguenti testate giornalistiche:  Autore e curatore degli editoriali della Rubrica “Visto da Sud”, per il quotidiano “Cronache di Napoli”.  Autore e curatore della Rubrica “Il dito nell’occhio” sul sito giornalistico “Il Mondo di Suk” (www.ilmondodisuk.com), con news e articoli a propria firma. Autore di oltre 700 elaborazioni tra recensioni di libri e articoli di varia attualità, pubblicati nella sezione “Cultura” del sito giornalistico Il Mondo di Suk (www.ilmondodisuk.com).  Ideatore e autore del Blog di informazione, divulgazione e approfondimenti tematici. https://raffaelecarotenuto.wordpress.com