Antonio Casagrande e la serietà del teatro

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di Elio Goka

Quelli che – privilegiati – hanno comunque avuto modo di godersi il patrimonio artistico degli Antonio Casagrande – pochi, rarissimi! – attraverso tutto il documentato video di quel percorso che oggi ha il sapore del tardo antico, che si potrebbe definire più che altro attardato, stentato in questo oceano di somministrazioni effimere e fugaci, quelli, come noi, come chi non lo dimenticherà anche senza averlo conosciuto di persona, hanno potuto percepire quel codice dell’attore che sfugge, e che fugge, dai confini della sua funzione, componendosi di tonalità, movimenti, espressioni, sguardi, un panorama dentro l’uomo, che a vederli e rivederli commuove vibrando tutta la sua sensibilità.

Antonio Casagrande è una chiave di accesso alla maestria dell’attore e alla storia di un mestiere spesso ancorato alle sorti degli altri, per un’astrazione del condividere che proprio nelle remote più profonde dell’animo dell’interprete, o dello stesso autore che si presenta in prima persona al suo racconto, cerca di scongiurare. La paura di smarrire il se stesso, in nome di quella funzione che rischia di trasformarsi in un intendimento protocollare dell’espressività. E parte della carriera di Antonio Casagrande per qualcuno potrebbe restare ancorata a quel sistema di meraviglie che fu, che è, il teatro di Eduardo, in cui Casagrande ha interpretato spesso i ruoli più complessi e significativi.

Lui, però, non era dentro la macchina; non era nel limite dell’interpretazione, ma, che si trovasse in quelli o in altri contesti, la sua arte smisurava tanto i personaggi assegnati quanto l’intelligenza, quella indipendente, la variabile sorprendente dell’attore autore di se stesso, del moto espressivo che Antonio Casagrande sapeva condurre a un’armonia di voci, sussurri, durezze, orchestrate in un’animazione di cerebralità e di sentimenti.

Il bianco e nero della sua giovinezza matura e imperturbabile ha velato una cromia di varianti che pochi attori hanno saputo pareggiare. Il grottesco e la tragedia, il furore e la grazia, a contenuto di una poetica del dire espressa da una pronuncia che risaliva dalla solidità di una meditazione nera e sofferente dell’emozione per uscire indomita e ferma da un verbo tremante e laconico. Spesso i suoi personaggi lambivano il fondo veritiero delle cose, con quello sguardo acceso a scrutare gli orizzonti dei più insidiosi non detti.

Il precipitato incauto e deluso di Beppe Stigliano in Mia famiglia, un rabbuiato e afflitto Rafiluccio Santaniello ne Il sindaco del rione Sanità, “un’anima irrequieta” in Questi fantasmi, il grottesco e illuso poeta di Ditegli sempre di sì e così via una serie di personaggi che oggi portano il suo volto oltre la potenza del copione. Una carriera di attore, e non solo, iniziata dal teatro lirico, in cui aveva in giovane scandito già momenti importanti esibendosi come cantante in teatri italiani molto importanti. Fino all’incontro con Eduardo, dovuto a un concorso indetto dallo stesso drammaturgo napoletano. E Antonio Casagrande, oltre alla sua caratura di attore, mostrava rispetto per la parola che riguardava figure alle quali si sentiva doverosamente legato. Tra questi, di certo, Eduardo De Filippo.

Qualcuno ha scritto che Antonio Casagrande era padre di. Un’informazione azzardata, per facilitare uno sguardo sopra un titolo arricchito da una nota che, col dovuto rispetto per il figlio Maurizio, davanti alla sua grandezza appare francamente superflua. Tuttavia, soltanto spinti da una forma di affetto e di rispetto, la polemica si arresti sulla soglia del cenno sospirato e malinconico. Basti il timore per cui il nome di Antonio Casagrande possa un giorno essere dimenticato da un oblio artistico che oggi non sempre contempla il teatro come questi attori hanno cercato di segnare nella sua accezione più rigorosa e sensibile.

 

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