ll difficile cammino delle donne nelle istituzioni

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di Maria Rusolo

Siamo metà della popolazione – dobbiamo essere metà del Congresso.

La frase è della prima donna eletta al Congresso degli Stati Uniti d’America ed è di una attualità che definire sconvolgente è poco, perché insisto sul tema della parità di genere? Beh, perché si è in Campagna elettorale ed il tema è quanto mai attuale e pressoché scomparso da ogni tipo di discussione.

Mi chiedo e vi chiedo se ad esempio voi abbiate visto nelle immagini televisive ai tavoli che costruiscono le alleanze donne in primo piano, salvo qualche foto di rito, o se abbiate sentito pronunciare frasi precise e programmatiche sulla drammatica mancanza di parità di diritti e salariale nel nostro Paese, o se qualcuno si sia preso la briga di analizzare i dati sulla occupazione femminile post- pandemia. La nostra è una comunità umana fortemente disgregata dal punto di vista sociale nella quale il sessismo ha origini storiche bene precise e che continua ad avvelenare il terreno anche delle future generazioni.

Una classe dirigente che voglia guidare i processi non può prescindere da questo dato di fatto e costruire sin da subito gli anticorpi necessari a consentire che i diritti abbiano solide basi culturali e che non siano solo un pezzo di carta straccia. Solo se si parte da questo presupposto ogni agenda politica potrà avere un senso compiuto, bisogna battersi senza esclusione di colpi e le donne che hanno il privilegio di occupare posti al sole devono lottare non solo per se stesse, ma anche per le altre, perché la perdita di potere riguarda tutte, nessuna è immune e l’attendismo è senza ombra di dubbio un errore fatale.

Provo una sofferenza fisica a vedere che cosa accade nel mondo del lavoro e della famiglia, provo una nausea profonda quando entro in un’aula di Tribunale ed alle donne vengono imputati comportamenti di cui in realtà sono solo vittime, il pregiudizio alberga tra di noi ed è più potente di qualsiasi arma di distruzione di massa, e sembrerà strano ma è molto più presente oggi che vent’anni fa. Le donne continuano a reggere l’ossatura familiare e sociale del Paese, a loro è affidato quasi totalmente il ruolo di cura nei confronti della prole, con grave pregiudizio per ogni tipo di crescita professionale, continuano ad essere stigmatizzate quando scelgono di non avere figli, o quando si incamminano nel percorso arduo della politica.

Non si può neanche lontanamente immaginare quante battute, avances ed atteggiamenti volgari sono costrette a sopportare nelle stanze dei bottoni, quanto ancora qualcuno le considera come segretarie di un uomo o badanti di un capo. Adatte alla procreazione o a portare il caffè, qualcuno pensa che possano ” arrivare” solo se è un uomo a spingerle. Per non parlare del fatto che tutti si arrogano il diritto di discutere del loro corpo, di come essere, di quanto essere e di dove essere. Se una giovane donna si ubriaca, qualcuno è spinto a pensare che un uomo abbia il diritto di abusarne, ed aldilà di ciò che la legge prevede, in una simile circostanza, basta soffermarsi sul veleno che le travolge sui social a seguito di un fatto di cronaca.

L’aspetto estetico, le caratteristiche fisiche, il modo di parlare e di vestire vengono analizzati al microscopio con lo scopo preciso di ghettizzare, di renderle una categoria da proteggere e non da esaltare. Quando questo accade ho la sensazione che si abbia la paura di perdere il controllo di un sistema ed allora alcuni utilizzano le parole, altri il potere ed altri ancora la violenza fisica per lasciare che tutto sia immutato. Le donne non sono animali in via di estinzione ed una società equa, solidale, una società che sia proiettata verso la crescita, lo sviluppo, verso la diffusione della cultura come mezzo di crescita e di radicamento non può prescindere dalla soluzione di questo problema, perché nel 2022 è ancora una mancanza che rende il puzzle della evoluzione culturale monco.

Allora ancora una volta si perderà una occasione importante se in questa breve e concitata campagna elettorale d’agosto, nessuno avrà il coraggio di parlare di aborto tradito, di divorzio schiacciato, di lavoro assente, di guadagni inferiori a parità di mansioni, di violenza di genere, di femminicidi, di brutalità e di assenza nei posti di comando. Chiedo a questa politica di essere più coraggiosa di quanto sia stata sino a questo momento, i giovani vivono di esempi ed è sempre possibile gettare un seme perché le cose si evolvano in un senso o in un altro. E’ sempre meglio perdere qualche punto coltivando speranze, che vincere alimentando paura.

La sudditanza del femminile non implica che il maschile sia migliore, superiore ma, al contrario, rivela tutta la debolezza dell’uomo e il suo grandissimo tallone d’Achille rappresentato dal bisogno ossessivo di ricercare il potere.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.