Compro Bagnoli.

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Nemmeno Edoardo Bennato avrebbe mai potuto immaginarlo. Ora il cantautore, che aveva messo in vendita Bagnoli negli anni ’80, potrà finalmente veder rinascere quei terreni sterminati sui quali ormai restano solo gli scheletri delle acciaierie e il ricordo delle ciminiere. Luoghi abbandonati che reclamano attenzione e velocità delle decisioni, bonifiche e riqualificazione. Aree che deturpano la cartolina, fanno arrossire l’oleografia e minacciano la magnificenza della vicina Posillipo.

Ecco allora che, dopo anni di frustrante immobilismo, di fastidiosi scaricabarile tra amministratori, di commissariamenti e polemiche politiche, spunta un progetto immaginifico, da far impallidire l’Allianz Arena, che solo un visionario come Aurelio De Laurentiis poteva tirar fuori: Bagnoli diventerà la città del calcio.

Come ogni impresa temeraria, il progetto è più che ambizioso: la casa del Napoli avrà dodici campi di calcio (una specie di Wimbledon del pallone), un albergo, sicuramente un multisala dedicato alla commedia italiana contemporanea e, naturalmente, lo stadio nuovo. Adesso, restano da stabilire solo due cose: la capienza dello stadio e l’altezza del muraglione che dovrà impedire la visione abusiva dalla collina.

Il Presidente non s’è ancora sbilanciato sulla prima questione: “se lo stadio sarà da 50 mila, 40 mila o 30 mila posti lo vedremo a seconda di quando potrà essere pronto e di come la virtualizzazione non avrà minato la frequentabilità dello stadio”. Per cui, al di là dell’ardita formulazione linguistica del concetto, va bene la filantropia ma business is business. Ergo, o aumentano le presenze nel vecchio e malandato impianto di Fuorigrotta, oppure la nuova arena sarà ad appannaggio solo di pochi eletti, benestanti e fidelizzati. Che gli altri, disfattisti e criticoni, spilorci e invidiosi, si arrangino tra decoder e antenne paraboliche. Non c’è posto per loro nel nuovo stadio.

Sulla seconda questione, le idee sembrano essere più chiare: sarà eretto un muro di dodici metri a protezione della visione esclusiva dei fortunati di cui sopra. Può sempre succedere che dal Parco Virgiliano o dai viali limitrofi, tra un amplesso e un altro, qualche furbastro si voglia godere lo spettacolo senza pagare il biglietto. Chi è pronto a sostenere un così elevato investimento, non può consentirsi questo tipo di rischio. Quindi, tolleranza zero verso i “portoghesi”.

La notizia, naturalmente, ha acceso l’entusiasmo in città, anche tra i pochi detrattori del Presidente che perseverano nel loro isolazionismo. Resta, infatti, ancora qualche irriducibile che si mostra scettico, più per spirito di contraddizione che per altro. Tuttavia, una sacca di resistenza e un minimo di diffidenza bisogna sempre metterla in conto quando si vogliono fare le cose in grande. Roma non fu costruita in giorno, figuriamoci lo stadio a Bagnoli.Gli unici a mostrare un vivo disappunto per questa improvvisa svolta sono i casertani, ancora legati alla promessa di qualche tempo fa del Presidente De Laurentiis. “Se non mi vendono il San Paolo, il nuovo stadio lo costruirò a Caserta perché sono una persona seria e operativa”.

In effetti, non s’è realizzata né l’una né l’altra cosa. Colpa della burocrazia, della politica, forse anche di De Magistris o, semplicemente, delle avverse congiunzioni astrali.Fatto sta che ora è tutto cambiato: quando il gioco si fa duro, i duri non solo cominciano a giocare ma prendono il sopravvento su qualunque oppositore, più o meno scaltro.

Insomma, il dato è tratto: il futuro di Napoli e del Napoli si chiama Bagnoli, acquistate il biglietto perché lo spettacolo sta per cominciare.

Gianluca Spera, classe 1978. Di professione avvocato da cui trae infinita ispirazione. Scrittore per vocazione e istinto di conservazione. I suoi racconti “Nella tana del topo” e “L’ultima notte dell’anno” sono stati premiati nell’ambito del concorso “Arianna Ziccardi”. Il racconto “Nel ventre del potere” è stato pubblicato all’interno dell’antologia noir “Rosso perfetto-nero perfetto” (edita da Ippiter Edizioni). Autore del romanzo "Delitto di una notte di mezza estate" (Ad est dell'equatore)" Napoletano per affinità, elezione e adozione. Crede che le parole siano l’ultimo baluardo a difesa della libertà e dei diritti. «L'italiano non è l'italiano: è il ragionare», insegnava Sciascia. E’ giunta l’ora di recuperare linguaggio e ingegno. Prima di cadere nel fondo del pozzo dove non c’è più la verità ma solo la definitiva sottomissione alla tirannia della frivolezza.