Dio salvi la nostalgia

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di Christian Sanna

All’alba degli anni settanta, all’apice del suo successo, un elegantissimo Gianni Nazzaro interpreta la meravigliosa Far l’amore con te. Le donne impazziscono , del resto l’interprete napoletano è bello, canta bene e le parole della canzone sono un inno al romanticismo e fra un dolce fiore mio e c’è un pensiero che scoppia in me (dal titolo del brano il pensiero diventa subito esplicito) entra in scena quel sarei ricco se si vendesse la nostalgia.

Allora, Dio salvi la nostalgia e la tenga lontana da chi un giorno, riconoscendone il valore, vorrà quotarla in borsa e farci profitto. Non siamo tutti, forse, un pò nostalgici? Chi è senza nostalgia, scagli il primo ricordo! Senza neanche accorgercene, mettendo il disco di una vecchia canzone, guardando una foto sbiadita o ricordando un episodio di gioventù con un amico, corriamo dietro alla nostalgia fino a raggiungerla per offrirle da bere, pregandola di farci compagnia, ancora un poco, giusto il tempo per non sentire il vuoto che c’è fuori, in questa società così “attuale”, volgare e presuntuosa da farci passare per anacronistici.

Essere educati, rispettare il prossimo, stare al mondo da civili sembra che ormai interessi a pochi, certi valori che credevo indistruttibili ed immutabili stanno diventando sempre più di nicchia. C’è questa idea un pò bizzarra che da un pò mi ronza nella testa, tuttavia non è fastidiosa come una zanzara, ma non è neanche speranzosa poichè sorretta dai dati poco edificanti registrati dal monitoraggio di quanto è avvenuto negli ultimi anni; siamo ad un disgustoso dessert dopo un’abbuffata da indigestione. La situazione dell’essere umano non è buona!

L’uso scellerato ed ossessivo dei social network amplifica ogni giorno sempre di più i vuoti di pensiero, le mancanze di idee, le lacune culturali, le bassezze umane, le povertà sentimentali. Se venti o trent’anni fa un cretino le sue cretinate le sparava al bar dinanzi ad una sparuta cerchia di spettatori, oggi qualsiasi cretino, anche quello dotato di poco talento, può contare su una platea molto più vasta e pericolosa: i leoni (senza criniera) da tastiera. Col rischio di diventare popolare. Più di Giotto. Molto di più di Pinturicchio. Troppo di più di Macedonio Fernandez che sono abbastanza certo risulti sconosciuto persino al 90% degli operatori culturali, quando il Museo del romanzo della Eterna è un capolavoro e Macedonio è la metafisica, è la letteratura, secondo Jorge Luis Borges.

La pandemia, la gestione dell’emergenza sanitaria, la guerra in Ucraina, l’ennesima crisi economica, le liti fra i politici, il mestiere del giornalista svilito da chiunque pubblica una notizia senza accertarsi delle fonti, i titoloni sui giornali che poi vai a leggere l’articolo e ci trovi nel migliore dei casi una robusta dose di faziosità, quando non è accompagnata da errori grammaticali ed ortografici – sono il manifesto chiaro e desolante che qualcosa, anzi forse più di qualcosa qui proprio non va. Sale la rabbia perchè la lingua italiana è un’opera d’arte che ogni giorno viene deturpata un pò di più da questi vandali della tastiera, le cui dita sono esecutrici dei comandi della loro ignoranza ed allora viene alla ribalta la nostalgia, quell’irrefrenabile desiderio di ritornare alle penne illuminate e colte di Montanelli, Biagi, Fallaci, Terzani, Bocca, Brera. Quest’ultimo definisce la Beneamata in un modo che per me è impossibile non amarla due volte L’inter è squadra femmina , quindi passionale, volubile, e pertanto agli antipodi del pragmatismo che caratterizza la juventus. Insomma, è chiaro che si può scrivere e parlare di calcio facendo della buona letteratura.

Oggi, chi vuole leggere di calcio si ritrova articoli di accuse, tutti contro tutti, in un clima pesante e poco costruttivo che di sportivo non ha nulla, perchè prevarica il sano antagonismo fra le squadre. Qualcuno di buona volontà spieghi alla maggioranza dei registi di oggi che se si vuole entrare nella storia del cinema ci deve essere una sceneggiatura solida, ci vogliono le idee e che tutti gli effetti speciali del mondo possono riempire gli occhi per un momento, ma non bastano a rinchiudere per sempre le emozioni nei cuori degli spettatori. Non sanno più che mostri inventarsi per spaventarci, tempo perso.

Dal 1975 intere generazioni non hanno dormito la notte dopo aver visto Profondo rosso di Dario Argento, perchè ripeto se vuoi fare colpo al momento può andar bene l’effetto speciale un pò come la frase ad effetto quando si vuole incuriosire una bella ragazza, ma a lungo andare se si desidera occupare un posto speciale nel ricordo di qualcuno ci vogliono i numeri, bisogna riuscire a coniugare talento, contenuto, forma. Probabilmente, ci si deve trovare in uno stato di grazia. Bisogna azzeccare la colonna sonora, la fotografia, scegliere bene l’attore non protagonista, le comparse. Vorrei dire che la musica è Bach e che dal  28 luglio del 1750 le note non sono più le stesse ed il pentagramma non le riconosce più ed invece ci sono stati Mozart, Beethoven, Schubert, Chopin. C’è stato anche Salieri, molto più talentuoso che invidioso, ha avuto solo la “sfortuna” di vivere nell’epoca di Mozart. Monta la rabbia e sale la nostalgia quando ascolto la musica (?) contemporanea.

E’ evidente che la teatralità dell’esibizione deve far passare in secondo piano le lacune dei testi, la musica che rispetto alle parole se ne va per i fatti suoi. Non ci saranno più I cieli in una stanza di Paoli Le parole dell’addio di Endrigo, poeta dolce e sottovalutato, le luci a San Siro finchè ci giocherà l’Inter faranno sempre più luce di mille stelle, ma ha ragione il professor Vecchioni quando canta facciamo un cambio prenditi pure quel po’ di soldi quel po’ di celebrità /Ma dammi indietro la mia seicento i miei vent’anni ed una ragazza che tu sai /Milano scusa stavo scherzando/ Luci a San Siro non ne accenderanno più.

Non ci sarà più l’emozione, l’incanto e la purezza del primo amore, tuttavia ci saranno altri amori, nuove storie, ancora emozioni. Ma se ci penso provo ancora nostalgia, ogni volta che ascolto la Canzone dell’amore perduto di Fabrizio De Andrè, mi ricordo di quando mi batteva forte il cuore. Devo essere stato innamorato anch’io, ma è successo tanto tempo fa. All’epoca mi piaceva idealizzare.

Provo a descrivermi in una frase, ma è un pò come rinchiudere il mare in un bicchiere. Allora potrei definirmi "Un solitudinista visionario animale sociale ed un cercatore di spiritualità, tutto occhi ed inquietudine, perdutamente innamorato dell'Idea che non è ancora riuscito ad afferrare, col cuore di cristallo. Fregato dai sentimenti". Ritengo superfluo aggiungere i titoli di studio conseguiti, i lavori svolti, gli eventi culturali organizzati e presentati, gli impegni nella politica e nel sociale. E se a qualcuno sta balenando in mente l'idea ( sbagliata) che io possa essere un insopportabile presuntuoso, sappia che è appena caduto nella rete che ho preparato. Io voglio che a parlare per me siano gli articoli; i lettori più attenti ci troveranno frammenti d'anima.