Il civismo incivile

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di Maria Rusolo

“Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi ed impegnati possa cambiare il mondo. In verità è l’unica cosa che è sempre accaduta.”

Siamo immersi nel concetto di civismo ormai da oltre un ventennio. La caduta degli Dei avvenuta con Mani Pulite, la fine della Prima Repubblica, con il lancio di monetine al leader dei Socialisti, Bettino Craxi, l’ascesa di Bossi e della lega e l’affermazione del vuoto cosmico rappresentato dal Movimento Cinque Stelle hanno determinato una trasformazione sociale nella quale a fronte dei partiti politici si sono sostituiti movimenti civici, che non hanno altra funzione che quella di prendere il potere in nome di una visione egualitaria non fondata sui concetti di competenza e di preparazione.

La democrazia diretta è divenuta antagonista primaria di quella che è la più compiuta e collaudata forma democratica, la democrazia rappresentativa. Non ci interessa quanto complessa sia la macchina amministrativa, la cosa che conta è che la rabbia abbia il sopravvento su tutto e che tutti i politici, presunti arraffoni e corrotti vengano messi alla gogna pubblica in piazza. Una lapidazione costante e senza senso, condivisa ed alimentata da un certo tipo di stampa, che sembra interessata a mettere al centro della discussione il cittadino e che invece ha coadiuvato l’imbarbarimento delle comunità disorganizzate.

Il problema è che il civismo, quello vero e profondo, quello che parte e consente ai cives di prendere parte attiva alla vita politica di un Paese, non è in sé un fatto negativo, ma non è certo quello che ci propinano ad ogni occasione elettorale, rimpinzando le liste di improbabili candidati, senza storia, senza esperienza, e senza competenza, al solo scopo di giustificare bieche operazioni di trasformismo e di gattopardismo.

Guardiamo i dati economici, quelli culturali, quelli sociali, o fermiamoci a riflettere sui livelli raggiunti dalla educazione e dalla istruzione nel nostro Paese. Pensiamo un attimo a cosa è accaduto nel nostro Paese nell’immediatezza della fine della seconda Guerra Mondiale, guardiamo con mente aperta ed attenta allo sforzo per costruire una Europa libera e pacificata, davvero possiamo dire che abbiamo avuto una classe dirigente cosi tanto terribile? Possiamo davvero dire con certezza che non abbiamo migliorato le nostre condizioni di vita, e che la mobilità sociale e l’alfabetizzazione non siano stati risultati inimmaginabili senza la capacità e l’impegno di una certa classe politica che ha speso la propria vita, con l’intento di migliorare l’esistenza degli altri?

Certo immagino le perplessità di chi pensa agli scandali, alle raccomandazioni, alla esaltazione del potere per il potere, ed è innegabile che degli errori terribili siano stati commessi, che la fiducia del popolo sia stato spesso, spessissimo tradita, ma questo non giustifica quello che sta accadendo.

La storia non può essere letta con una sola chiave di lettura non sarebbe corretto, ma soprattutto non corrisponderebbe ad una visione veritiera dei fatti. Il Civismo può rappresentare una spinta, invece alla costruzione di una classe dirigente che serva a rigenerare i partiti, a trasformarli in formazioni sociali sempre più attente ai bisogni della gente, con al centro della discussione il miglioramento delle condizioni di vita di una comunità. Questo avrebbe dovuto essere e non è stato.

Al contrario l’uno vale uno, ci ha gettati nello sconforto più totale, nel mare dell’indistinto, di chi ha cambiato più casacche che abiti, di chi da quel sistema ha avuto tutto ed oggi ha la necessità di mostrarsi con una nuova maschera alla gente che ha bisogno di speranze. La reazione di fronte ad una delusione ha la necessità di essere compresa, di essere affrontata, ma non si può stare a guardare alimentando ulteriormente un nuovo sistema di potere, che non rafforza, che non cancella l’abuso del potere, ma che finisce solo per cambiare i protagonisti che siedono nella stanza dei bottoni. Sono in pericolo, non i nostri piccoli orti, ma gli equilibri di un mondo che ha bisogno di darsi nuove ed immediate visioni che valgono la sopravvivenza di una generazione.

“Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia.” Don Lorenzo Milani

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.