Il pianto dell’alba: l’addio di Ricciardi…

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“Antifascista. Ripeti con me, non è difficili, io sono an-ti-fa-sci-sta. Una parola come tante, composta, quindi forse meno semplice di tante altre, come chessò, vigliacco, oppure traditore, ma pur sempre comprensibile”

fin d’ora avviso coloro che si soffermeranno per qualche istante sulle mie parole, la mia non è una recensione, non è un analisi dell’ultimo libro di De Giovanni, che chiude la vita letteraria del Commissario Ricciardi, è solo il mio bisogno di raccontare quello che queste pagine hanno generato nella mia mente e sulla mia pelle.

Non sono una lettrice che riesce a mantenere un certo distacco dai personaggi e dalle storie, in qualche modo si immedesima, si accomoda all’interno degli eventi e ne vede scorrere le immagini come se fosse in un Film. Anzi a volte mi capita di scegliermi uno dei protagonisti e di vivere in quelle frasi una vita che non mi appartiene, per cui quando arrivo all’ultima pagina, e devo accettare il destino che per me ha scelto l’autore, resto quasi stordita, e priva di forze, incapace di leggere altro per qualche giorno, a volte anche delusa, per non aver potuto tessere diversamente i fili di quella storia.

Nel leggere Il pianto dell’alba, mi sono chiesta se in realtà un autore possa vivere senza le proprie creature, e cosa lo spinga a chiudere definitivamente un capitolo della propria vita. Poi ho smesso di farmi domande, e mi sono immersa completamente, con la musica che mi accompagnava tra le strade di una Napoli scossa dal vento, in un’epoca così lontana e pure così vicina alla nostra ed ho cominciato a percorrere passo passo quei luoghi, avvolti dal caldo asfissiante e dalle voci dei morti, che raccontano di vita e di sentimenti mai sopiti.

Il FATTO come lo chiama Ricciardi, stavolta si è tinto di una umanità che potevo sfiorare con le dita, si è spinto sino a farmi tremare le mani, mentre voltavo le pagine, eppure sapevo che qualcosa avrebbe sconvolto i piani, che non avrebbe consentito al commissario di uscire dalla patina di una malinconia che come una macchia lo divorava sin dalla più tenera età. Ci sono uomini che nascono per compiere grandi imprese, per utilizzare le proprie attitudini al meglio e per il bene degli altri, ma la cui abnegazione costerà sempre un prezzo umano troppo alto.

Ecco Ricciardi è il personaggio più umano con cui io mi sia mai confrontata, anche mentre scorgeva tutte le sere la sua amata aldilà di una finestra, tendendo una mano per poterla sfiorare, ma con l’eterno terrore di poterla perdere, dimostrava la sua enorme e fragile umanità. No non racconterò nulla del finale, non posso sottrarre il piacere di leggere le ultime battute di questo meraviglioso spartito.

Ogni melodia ha bisogno di essere ascoltata ed ascoltata per poterne davvero cogliere il senso, ma soprattutto è unica ed irripetibile perché essa è attraversata dalla storia di chi l’ascolta. Per cui non mi resta che gettarmi nella notte con le mani in tasca in attesa che cambi il vento e che allontani la follia degli uomini di questo strano mondo, nel quale spesso combattiamo battaglie senza senso, ma che non possiamo far a meno di vivere.

 “Gli occhi amore mio. Neri e vivrà la tua dolcissima vita. Verdi, ed avrà il mio terribile destino”.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.