Il tramonto dello Stato Sociale

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di Maria Rusolo

Di che reggimento siete
Fratelli?
Parola tremante
nella notte.
Foglia appena nata
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli.

Vorrei invitarvi ad una riflessione. Chi ha la pazienza di leggermi sa che in linea di massima scrivo di quello che vivo sulla mia pelle nella quotidianità, nell’esercizio della professionale, nell’attività politica ed in quella umana. Credo, o meglio ho sempre creduto che fosse importante portare su carta, perché restasse vivo quello che ci colpisce, momenti di gioia, debolezze, fragilità e dolori, perché convinta che la condivisione sia il vero collante tra gli individui nel mondo.

Nessuno deve essere lasciato indietro, nessuno deve sentirsi solo, emarginato, per una inclinazione, perché non ha gli strumenti, o perché semplicemente si presenta diverso da quello che la società impone. Ebbene in questi mesi ho provato a spiegare cosa accade se ti ammali in questo Paese e non sei benestante, ho provato a spiegare che tipo di assistenza sanitaria viene riconosciuta a chi abita nella Regione Campania, ora vorrei provare a raccontare cosa può vivere chi si trovi a dovere fronteggiare la macchina burocratica ed amministrativa a queste latitudini.

Partiamo da un assunto, la pubblica amministrazione dovrebbe rappresentare i cittadini, dovrebbe agire per il rispetto delle leggi e dovrebbe non essere un ammasso di burocrati, che cerca di individuare l’errore per non riconoscere un diritto. Ed invece, così non è. Lo Stato Sociale in questi ultimi decenni ha assunto la posizione del nemico, colpirne uno per educare tutti, nessuna pietà o valutazione umana, la mera applicazione di una norma non in coerenza con quanto dice, ma alla luce di prassi interne dirette ad ottenere un risparmio puramente economico. Così finisci per lasciare indietro tutti quelli che il bisogno lo vivono sulla propria pelle, che hanno solitudini, difficoltà, che non riescono ad avere aiuto, sotto tutti i punti di vista. Il disagio dilagante non viene accolto, ma viene schiacciato, come se si trattasse di un insetto fastidioso, di cui liberarsi prima possibile.

Sono anni che lotto contro il sistema per cui un vero ammalato viene trattato dal Sistema Previdenziale Italiano, come un numero da scartare, perché queste sono le indicazioni che arrivano dai Dirigenti; occorre concedere quanti meno benefici assistenziali possibili. Ed allora ti trovi l’ammalato di Alzheimer a cui non viene riconosciuta l’indennità di accompagnamento, il disabile psichico che per le commissioni mediche in realtà si finge pazzo per fregare lo Stato, ti trovi con chi è costretto ad usare una sedia a rotelle per una condizione irreversibile, che ogni anni viene sottoposto a revisione.

Follie del nostro Paese che cancellano lo Stato sociale e che comportano per queste persone di dover ricorrere ai Tribunali con tutto quello che questo comporta. Il fragile viene lasciato solo, e ti capita di trovarti al cospetto poi del burocrate di turno che in aula di giustizia difende l’indifendibile, senza il minimo ritegno per se stesso e per gli altri. Carte, controcarte e stracarte, nessuno che ti ascolta, numeri a cui nessuno risponde, dieci secondi esatti per essere sottoposto alla valutazione di una Commissione Medica, o addirittura può accadere che qualche ufficio si perda la tua pratica per una protesi ortopedica di cui hai bisogno per vivere, e l’impiegato di turno, senza scomporsi, come se la colpa fosse di una manina invisibile, risponda che ti tocca iniziare tutto da capo.

E di nuovo carte, attese ed uffici affollati in cui ti senti perso come in un labirinto senza neanche il filo d’Arianna. Questa la realtà che nessuno vede o vuole vedere, dove fanno notizia solo i furbetti e non quelli che hanno realmente il bisogno vitale di servizi e benefici. E’ una questione banalmente di diritti, calpestati, vilipesi, che vengono sbandierati in occasioni di campagne elettorali o nelle tribune politiche televisive, ma che non interessano a nessuno. Nessuno si assume l’onere e la responsabilità dell’ascolto e della valutazione di quanto realmente accade, nessuno ha la volontà di comprendere cosa significa per un ottantenne con disturbi fisici restare in attesa dinanzi ad una porta chiusa. La fragilità disturba, il malessere infastidisce e si finisce per ragionare di massimi sistemi, senza tener conto delle piccole cose importanti per la vita di un individuo.

Salute, istruzione, cultura, ricerca, sicurezza e giustizia non possono essere parole prive di contenuto, vanno inserite in un contesto sociale che è fatto di passi e di quotidianità, uno Stato che si rispetti non può attribuire le colpe di un sistema malfunzionante a chi viola le regole, a chi non lavora con coscienza e serietà, deve creare gli anticorpi affinché nessuno sia lasciato indietro. Una società in cui esistono cittadini di serie A e di serie B è una società non democratica che non ha nessun rispetto per la vita umana. Una classe politica che si rispetti questo lo sa bene, ma sul bisogno si costruiscono le carriere e si radicalizza il potere.

Una società che ghettizza i fragili crea un baratro verso il futuro ed annulla ogni aspettativa e speranza. Una fatica immane e quotidiana che possiamo cercare di alleviare ogni giorno, con i nostri comportamenti, cercando le condizioni per il rispetto degli altri e di noi stessi, senza mai girare la testa dall’altra parte. La strada è piena di buche e noi proviamo a riempirle facendo rumore.

“L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.