La cultura e i limiti imposti dalla burocrazia

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di Maria Rusolo

“Esiste un solo bene, la conoscenza, ed un solo male, l’ignoranza.”

Vi aspettavate un pistolotto sulla chiusura delle discoteche, una difesa ad oltranza dei diritti alla movida ed alla libera espressione della capacità imprenditoriale. Una filippica sui giovani e sul sacrosanto diritto di divertirsi dopo mesi di chiusura, come se poi ad assembrarsi in discoteca ci andassero solo i ragazzini in età adolescenziale.

Per carità io in questo ultimo argomento vacanziero non intendo proprio entrarci, così come non entro nella questione dei giovani che vanno all’estero e che incoscienti rientrano in Italia, come novelli untori di un romanzo storico dell’Ottocento.

La realtà che più mi preoccupa nasce e cresce intorno a quello che accade in queste ore, a quello che è accaduto in questi mesi, a quello che è accaduto in questi anni e che abbiamo volontariamente perso di vista. Ci siamo adagiati sugli allori di un finto progresso, di una finta crescita sociale e culturale, abbiamo pensato che creare un sistema di istruzione pubblica potesse da solo servire per far crescere i nostri figli accuditi e protetti, per concedere a questi di acquisire tutte le conoscenze necessarie per vivere in serenità e nel benessere.

Il problema è che il progetto ha perso di consistenza nel tempo, le scuole sono diventate parcheggi a cui affidiamo bambini e giovani, e per i quali prepariamo, nella maggioranza dei casi, un sistema retto sul nozionismo, sulla necessità di finire programmi scolastici, senza insegnare loro a ragionare in autonomia, senza concedere la possibilità di sviluppare il senso di responsabilità e la dote della critica e della comprensione del mondo, di cui i libri costituiscono solo una parte minima seppure necessaria.

Non si esce dai limiti imposti dalla burocrazia, che ha gioco forza ad avere individui che non siano in grado di pensare in libertà, ha tutto l’interesse a creare massa e non leadership, non una comunità che esiga la qualità, ma individui che si riuniscono in gruppi e che siano facilmente manipolabili. E se questo è il presupposto, perché colpevolizzare le nuove generazioni che hanno ereditato e non hanno scelto, ma che a mio avviso, non hanno strumenti per scegliere diversamente.

Il modello imperante è l’omologazione e chi esce dal recinto viene isolato ed a volte, ” malmenato”. E di nuovo dinanzi a tutto questo noi costruiamo modelli di distrazione di massa, per colpevolizzare, punire, sanzionare, e non per indicare un percorso, una strada possibile e diversa. Un mondo diverso è auspicabile, ma non realizzabile con il padre-padrone che impone, che schiaccia, ma attraverso investimenti seri nella istruzione, nella cultura, nella ricerca ed esaltazione di una base di valori comuni, e nella esaltazione del diverso. Il lavoro è duro e siamo noi adulti a dover predisporre tutto quanto necessario, al fine di avere una generazione sana, consapevole, responsabile e colta.

La cultura è diventata una parola radical chic, una sorta di marchio della infamia, che solo alcuni possono maneggiare ed invece deve diventare invadente e persistente come uno tsunami; come un terremoto che spacca le zolle del terreno rapido, ma spinge gli uomini a ricostruire una società diversa da quella precedente. Non possono le colpe dei padri ricadere sui figli, ma a questi figli si deve far capire che è il lavoro duro che segnerà la loro vita e che in nome di quello potranno crescere come querce in un bosco sconvolto da un incendio. Insomma mi viene in mente quella canzone dei Rokes:

La notte cade su di noi
La pioggia cade su di noi
La gente non sorride più
Vediamo un mondo vecchio che
Ci sta crollando addosso ormai
Ma che colpa abbiamo noi

Sarà una bella società
Fondata sulla libertà
Però spiegateci perché
Se non pensiamo come voi
Ci disprezzate, come mai
Ma che colpa abbiamo noi

E se noi non siamo come voi
E se noi non siamo come voi
E se noi non siamo…

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.