La notte di Roma

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di Gianluca Spera

“Piccola minoranza”, così l’AS Roma dell’americano Pallotta ha definito quel gruppo di tifosi (o presunti tali) giallorossi che hanno ridotto in fin di vita un cinquantenne irlandese colpevole di parteggiare per il Liverpool. Tecnicamente, la definizione è corretta: la generalizzazione è qualcosa di antipatico e la problematica non investe solo della società giallorossa.

Tuttavia, esiste una certa debolezza a condannare la violenza dei gruppi organizzati. I legami, non proprio trasparenti fino a sfiorare la complicità, tra club e mondo ultras sono emersi in maniera palese in parecchie occasioni. Così come è evidente, l’influenza, forse addirittura il controllo, che viene esercitato sulle società ma anche sui giocatori a qualsiasi latitudine. Inutile citare tutti gli episodi, i calciatori convocati dai capi ultras o umiliati in diretta televisiva per una sconfitta. Emblematico in questo senso, è l’episodio di Vinovo con i calciatori della Juventus costretti a subire una dura reprimenda da un centinaio di tifosi scontenti per il momento di difficoltà della squadra bianconera.

Certo, ad Anfield Road, è successo qualcosa di molto più grave. Perciò, parlare ancora una volta di sparute minoranze è limitativo e fuorviante. Esiste un tifo marcio, impresentabile, violento rispetto al quale ogni società dovrebbe prendere le distanze, senza se e senza ma. Anzi, dovrebbe adoperarsi fattivamente per impedire la presenza di questi individui negli stadi. Peraltro, la missione giallorossa nel nord di Inghilterra non era cominciata proprio in maniera elegante. Roberto Pruzzo e Bruno Conti si sono fatti ritrarre mentre irridevano il simbolo del Liverpool sollevando i rispettivi diti medi. Così, come durante la partita, è stato esibito uno striscione in onore di Daniele De Santis, il tifoso della Roma condannato per aver sparato e ucciso Ciro Esposito prima della finale di Coppa Italia del 2014.

Ecco, perché, e maggior ragione, la formula della “minoranza” sembra una fuga dalle responsabilità che ciascuno dovrebbe assumersi o una formula linguistica utile a invocare la clemenza della Uefa pronta a punire severamente i fatti di Liverpool. Oggi, più che in passato, è necessario intervenire ancor prima che si scateni la furia cieca, le aggressioni, la follia criminale. Opponendosi anche ai deliri ideologici, a qualunque espressione che inciti alla violenza. Anche se questa si manifesta in un coro o in uno striscione che spesso viene derubricato irresponsabilmente come semplice sfottò curvaiolo. Il passaggio dalle parole ai fatti, come si è visto, è davvero molto breve. Chi urla o scrive sconcezze allo stadio non ci mette niente a sfoderare un bastone, un coltello o addirittura una pistola. Saranno pure minoranze, ma hanno il potere di incidere, comandare, sporcare lo spettacolo delle partite di calcio se le società sportive non avranno la volontà e la forza di opporsi a questa feroce dittatura.

Gianluca Spera, classe 1978. Di professione avvocato da cui trae infinita ispirazione. Scrittore per vocazione e istinto di conservazione. I suoi racconti “Nella tana del topo” e “L’ultima notte dell’anno” sono stati premiati nell’ambito del concorso “Arianna Ziccardi”. Il racconto “Nel ventre del potere” è stato pubblicato all’interno dell’antologia noir “Rosso perfetto-nero perfetto” (edita da Ippiter Edizioni). Autore del romanzo "Delitto di una notte di mezza estate" (Ad est dell'equatore)" Napoletano per affinità, elezione e adozione. Crede che le parole siano l’ultimo baluardo a difesa della libertà e dei diritti. «L'italiano non è l'italiano: è il ragionare», insegnava Sciascia. E’ giunta l’ora di recuperare linguaggio e ingegno. Prima di cadere nel fondo del pozzo dove non c’è più la verità ma solo la definitiva sottomissione alla tirannia della frivolezza.