La quotidiana indifferenza

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di Maria Rusolo

“La triste verità è che molto del male viene compiuto da persone che non si decidono mai ad essere buone o cattive”.

 E’ difficile scrive con negli occhi le immagini della donna di colore barbaramente picchiata ieri, mentre camminava normalmente per le strade di un quartiere, di quelli belli, patinati, abitati dall’alta borghesia, con i suoi bambini. Un uomo, italiano, l’ha presa a calci e l’ha insultata, senza un motivo, senza una provocazione, senza una giustificazione umana , che possa essere inscatolata in qualche casella della nostra coscienza. Il suo peccato quello di avere un colore della pelle, diverso, anche se la parola mi crea un senso di profondo stordimento, di frustrazione, come se la diversità di un colore, o di una lingua, o di una provenienza non fosse segno tangibile di risorse, e di ampi spazi di bellezza nei quali crescere e migliorarsi.

Una brutalità che non può essere solo superficialmente condannata, ma che richiede una profonda presa di coscienza di quanto siamo deboli, fragilmente compromessi, in una società che ha perso il senso dell’umana comprensione. Occorre agire, combattere, diffondere visioni che sembrano essere state rimosse dalla coscienza collettiva, perchè non si può derubricare tutto al mero fatto occasionale, è una costante, violenta, offensiva, che pervade ed avvolge nelle sue spirali l’intera comunità del nostro Paese e non solo; e cresce e monta velocissima, come la rabbia cieca degli stolti e di chi non ha capacità di riflessione, perchè preda dei bassi istinti.

Come gli animali, e mi si perdoni il paragone, che quando sentono minacciato il proprio spazio agiscono furiosamente, perchè rispondono ad un istinto di sola ed assoluta sopravvivenza. E’ come se la cultura in questi decenni di pace, di costruzione di spazi comuni, di superamento dei confini, di liberalizzazione del pensiero non avesse attecchito in profondità, ed è come se l’uomo solo superficialmente avesse accettato, senza comprendere le regole della civile convivenza.

Accettate, ma non interiorizzate, ed in questo modo, l’essere umano ha smesso di essere tale. Ed ecco che la bestia risorge, in un clima congeniale e colpisce i più deboli, le donne, i bambini, quelli che scappano da fame e violenza. La logica del branco prevale e conduce ad accerchiare un ragazzino con problemi di autismo in una scuola della mia terra, tanto da spingerlo a tentare il suicidio, per non sentirsi più umiliato nel corpo e nell’anima, per non sentirsi più isolato, per non sentire più le mura che lo circondano troppo alte da scalare, per non sentire più il buio della paura che arriva e stringe la gola. E mentre scrivo e piango, mi chiedo dove fossero gli adulti, dove fosse quella scuola che dovrebbe insegnare accoglienza e che si perde in beghe burocratiche prive di ogni colore, dove fossero i genitori ed in che razza di ambiente familiare quei ragazzi crescano, che modelli di riferimento abbiano.

Ed allora aldilà dell’iniziale sgomento, occorre rimboccarsi le maniche, e riabbracciare le armi della cultura. Non ci è più concesso di restare seduti dietro un pc, bisogna lottare per ricostruire una coscienza umana collettiva che non è morta, ma che sta soffocando, non solo nell’ampio mare nero della violenza, ma anche nella nostra quotidiana indifferenza.

“Il fatto che l’uomo sappia distinguere tra il bene e il male dimostra la sua superiorità intellettuale rispetto alle altre creature; ma il fatto che possa compiere azioni malvagie dimostra la sua inferiorità morale rispetto a tutte le altre creature che non sono in grado di compierle”.

 

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.