La salute è un bene comune globale. In Italia una lenta e duratura agonia della sanità

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di Maria Rusolo

“La propria famiglia è la cosa più importante nella vita. Io la vedo così: Uno di questi giorni sarò da qualche parte in un ospedale con quattro mura attorno a me. E le uniche persone che avrò accanto saranno i miei familiari.”

Per quella strana mania che mi pervade sin da quando ero bambina osservo tutto quello che mi gira intorno, o sono forse io a girare intorno al mondo ed alla realtà, ma ahimè ho un limite, riuscire a cogliere gli aspetti che non funzionano all’interno dei processi e poi pensare alle soluzioni adottabili per migliorare le cose.

Lo definisco un limite e non una risorsa, perché vado a sbattere spesso contro burocrazia, incartamenti ed insoddisfazioni degli esseri umani che hanno la reale e materiale disponibilità rispetto alle singole azioni. L’aspetto che più mi lascia sgomenta riguarda la gestione del settore sanitario nel Paese e soprattutto nella mia regione, c’è la totale mancanza di attenzione alla singola patologia ed al complesso bagaglio che ogni paziente porta con se.

Gli individui diventano numeri, la cura diventa standardizzata, il personale diventa il possessore unico delle vite dei pazienti e per il tempo di un ricovero si è completamente privati di ogni aspetto umano e di relazione con gli altri. Forse come diceva Strada il tutto deve essere imputato alla trasformazione della Sanità Pubblica , attraverso una concezione aziendalista, più attenta al contenimento della spesa che ad altro, ed in parte è anche corretto ma non del tutto.

Se negli ultimi vent’anni si è operato cercando di razionalizzare i costi e di ridurre gli sprechi, in realtà anche attraverso la compressione delle risorse umane, non si è abbracciato compiutamente il concetto di azienda nella sua accezione positiva. I privati quando operano sul mercato per poter sopravvivere devono garantire servizi di qualità attraverso il contenimento dei costi, anche attraverso l’acquisizione di conoscenze, attraverso la modernizzazione dei processi e soprattutto formando il personale.

Questo non è accaduto evidentemente nel settore che accanto alla istruzione, alla giustizia rappresenta più di ogni altro un bene materiale ed immateriale per una comunità. Le liste di attesa si allungano, i dirigenti non vigilano con attenzione sul personale medico e non medico, le scartoffie aumentano, le cure non sono personalizzate e quello che è peggio, interi settori di patologie con ripercussioni sulla vita degli stessi e dei terzi vengono completamente escluse dal novero delle cure.

Non esiste attenzione ai fragili, ai bambini con difficoltà di apprendimento o con disturbi dello spettro autistico, ai vecchi, ai malati psichiatrici, si somministrano farmaci sperando di contenere il sintomo senza incidere sulla causa. Basterebbe così poco perché tutte le tessere potessero perfettamente combaciare ed invece la politica si perde nei flussi di dati che raccoglie, ma alla fine non vede. Oggi si parla di strutture sanitarie di comunità, ma con quali obbiettivi, con quali finalità non è dato saperlo, e si sprecheranno altre risorse costruendo altre cattedrali nel deserto senza mettere il punto ad una situazione che è destinata solo a peggiorare nel futuro.

Se a questo si aggiunge la mancanza di risorse umane, e che quelle che il Paese prepara preferiscono varcare il Rubicone, il destino nostro, dei nostri genitori e delle future generazioni non è certamente tra i più rosei. Vi lascio con un interrogativo, possiamo sempre girarci dall’altra parte senza pensare che l’essere umano che soffre in fondo non è altro che l’immagine riflessa nello specchio della nostra indifferenza?

“All’ospedale tutti diventano poveri. Perché sono padroni solo della malattia che si portano addosso.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.