L’altro fronte: le donne nella guerra in Ucraina

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di Maria Rusolo

“Non sono riuscita, a nessun età, ad accontentarmi di rimanere accanto al fuoco e semplicemente guardare quello che accadeva intorno. La vita va vissuta. La curiosità deve alimentare la vita. Nessuno deve, per qualsiasi motivo, girare le spalle all’esistenza.”

Questa sporca guerra ancora una volta si combatte sulla pelle delle donne. Le immagini che ci raggiungono sono impietose, scioccanti non solo per la brutale violenza della invasione, ma anche e soprattutto perché toccano le corde del nostro animo, più di quanto sia potuto accadere in passato. Oggi siamo chiamati a prendere una posizione netta, decidere da che parte stare. Gli uomini sono quelli che guidano carri armati e imbracciano fucili, le donne, le madri, le sorelle, le figlie sono quelle che con le loro mani, le grida di dolore e di paura si frappongono più di chiunque altro a questo mare impetuoso di ignoranza, mista ad ottusa e cieca voglia di cancellare qualsiasi visione del mondo contraria ad un progetto imperialista, sessista e misogino.

Guardatele queste donne che si parano davanti ai maschi e che offrono semi di girasole, guardatele mentre con i corpi piegati, avvolgono e coprono i bambini, guardatele mentre cariche di bagagli lasciano i paesi in cui hanno ricostruito vite e speranze e salgono su pullman, preoccupate per quello che hanno lasciato nel proprio Paese. Sono loro le vere combattenti, fanno lavori di accudimento, lasciano famiglie in cerca di un po’ di benessere, coraggiose come guerriere, sfidano le bombe per amore per dare calore e sostegno, quando avrebbero potuto restare comodamente al caldo delle proprie esistente parallele.

Meritano rispetto, meritano di essere osannate, meritano le prime pagine dei servizi televisivi e dei giornali, ed invece ancora una volta campeggiano le facce dei maschi con tutta la loro arroganza. Guardate la gestualità di Putin o quella degli altri politici seduti ai tavoli delle trattative, da un lato la forza brutale e fisica che si veste di negazione di ogni empatia, e dall’altra la debolezza della indifferenza, di chi si accorge solo oggi che non si possono tollerare certi atteggiamenti e certe repressioni. Ed in tutto questo le donne guidano per ore furgoncini, nel buio della notte, per portare qualsiasi bene di prima necessità possa dare sollievo alle genti stremate dagli spari e dalle esplosioni.

Forse per una volta gli Europei prendono coscienza che non esistono guerre giuste e che mentre si gioca a risiko, le persone più fragili, i civili muoiono. Le immagini sono strazianti, i bambini rinchiusi che non sono liberi di giocare, con i volti angosciati ed increduli, stanno imparando sulla propria pelle, che la vita ha qualcosa di misterioso e che spesso i grandi non sanno da che parte prenderla. Non esistono annessioni giuste, non esistono ragioni politiche, non esistono valutazioni storiche, chi le cerca sta commettendo un crimine contro l’umanità al pari di chi ha dato materialmente l’ordine di sparare, di annegare la gioia, i sorrisi e la primavera.

Osservate i tavoli della diplomazia, guardateli bene quei maschi, loro seduti comodamente, ossessionati dalla propria strabordante alterigia, e le donne di ogni età che si rimboccano le maniche e provano a rendere umani anche i soldati. Faccio fatica a guardare quanto accade e che mi arriva filtrato da uno schermo o dalla carta stampata, faccio fatica e mi si spezza il respiro, perché mi sento inutile, sento che le mie prese di posizione in questi anni non hanno avuto senso ed oggi non hanno alcun valore.

Io, come tanti altri siamo nati, a torto o a ragione nella parte ” buona” del mondo, ed è per questo che non dovremmo mai voltarci con la testa dall’altra parte, mai dare tutto per scontato; la democrazia non è qualcosa di acquisito per sempre, al contrario costa fatica ed impegno. Oggi, forse ne abbiamo un po’ più di consapevolezza. Imbracciamo delle armi, ma non quelle fisiche, ma quelle del lavoro, della empatia, dei diritti, dei doveri, abbattiamo i muri della diffidenza, accogliamo, e soprattutto ” sentiamo” il dolore di queste donne. Lo so che penserete io sia fissata, ma continuo a pensare che se ci fossero le donne a quei tavoli le cose sarebbero molto diverse, profondamente diverse. Non distogliamo lo sguardo e soprattutto impariamo dalla storia.

„Sì, sto dicendo che è troppo facile dar la colpa alla guerra, rifugiarsi dietro l’entità astratta che chiamiamo guerra e a cui ci riferiamo come a una specie di peccato originale, di maledizione divina. Il discorso da affrontare non è sulla guerra. È sugli uomini che fanno la guerra, sui soldati, sul mestiere più antico più inalterabile più intramontabile che esista dacché esiste la vita.“

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.