Lorenzo Insigne, ovvero il Napoli allo specchio

Condividi su

di Andrea Carpentieri

Più di tutti, probabilmente, hai incarnato il vero spirito degli ultimi anni azzurri, riassumendone e sintetizzandone pregi e difetti, epica e tragedia, ascesa e cadute, sorrisi e lacrime.

In più o meno dieci anni il pubblico napoletano si è spaccato con inquietante regolarità, quasi ad ogni stagione: ci si è divisi fra seguaci del <<sin prisa pero sin pausa>> e nemici del <<chiattone spagnolo>>, fra sarristi e conservatori, fra sostenitori di Gattuso e “amici di Chiariello” per arrivare, nelle ultime settimane, alla tenzone e alla tensione fra filo spallettiani e giornalisti striscionisti in servizio permanente effettivo. Il tutto, naturalmente, nella cornice della faida eterna fra aureliani e papponisti.

Tu, proprio tu, Capita’, sei stato il calciatore che ha proiettato in campo questa tendenza alla lacerazione, squarciando il tifo fra quanti ti hanno amato e quanti ti hanno odiato.

Per tanti (sono fra essi, lo chiarisco) sei stato un campione dal destro fatato, dalla visione di gioco superiore, dagli assist fantascientifici, dal contributo prezioso in fase passiva che faceva solo da preludio alle magie del regista offensivo. Per altri hai rappresentato un calciatore limitato, quello del <<tiraggiro e niente cchiù>>, troppo leggero, troppo basso, troppo prevedibile (anche se, a mio parere, il tuo problema è sempre stato che eri troppo napoletano per poterti perdonare di avercela fatta). In ogni caso, non si può negare quanto tu sia stato divisivo, per l’appunto portando sul prato quella divisione perenne che accompagna e lacera da anni il popolo azzurro.

Hai segnato goal decisivi per mettere in bacheca due coppe Italia, hai timbrato goal in Champions’ ai più grandi d’Europa, ma verrai ricordato anche come il Capitano dell’ammutinamento: nulla di nuovo, perché il Napoli di questi anni ha sollevato trofei, si è esibito a testa alta e petto in fuori nei teatri più importanti del continente, ma si è pure coperto di ridicolo con la rivolta novembrina.

Sei stato un prodigio di abnegazione, hai avuto statistiche impressionanti, hai mostrato magie che pochi altri hanno esibito con addosso l’azzurro, ci hai messo sempre la faccia ed hai sudato la maglia ogni maledetta domenica (e pure di sabato, lunedì, martedì, mercoledì, giovedi, venerdì); però sei anche stato uno di quelli che regolarmente venivano meno quando c’era da percorrere l’ultimo, stramaledetto gradino, e non di rado hai reagito con isteria un po’ immatura a fischi brutti e antipatici, ma che ci potevano stare.

Tu, come sempre e come il Napoli, gloria e fischi, forza e debolezza.

Credo che a te, come al tuo Napoli di questi dieci anni, sia stato chiesto tanto, forse troppo, forse più di quel che potevate dare, ma tu, e il tuo Napoli di questi dieci anni, ci avete fatto vedere il calcio azzurro più bello di sempre (D10S mi perdoni), ci avete reso orgogliosamente più forti di tutti, anche di chi, quell’anno, dovette schierare gli arbitri in assetto antisommossa e sparare i lacrimogeni per fermarvi, per fermarci.

Non sei stato il nostro calciatore più forte, né quello più amato, né quello più carismatico, né quello più trascinante. Però, nel bene e nel male, sei stato il corpo e l’anima del decennio azzurro: anzi, SEI STATO IL NAPOLI degli ultimi due lustri.

Per questo, Capitano, forse più che per i goal, gli assist o le coppe, semplicemente ed eternamente grazie.

Andrea Carpentieri è dottore di ricerca in filologia classica, ed ha al suo attivo diverse pubblicazioni nell'ambito degli studi di letteratura latina. Ex agonista nel karate, ha avuto la fortuna di vincere trofei e medaglie nazionali ed internazionali nella specialità del kumite (combattimento). Che si tratti di letteratura, lingue vive o morte o arti marziali, ogni giorno prova ad insegnare, cercando però, soprattutto, di continuare ad imparare.