Monologhi, provocazioni, impegno civile e canzonette…

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di Maria Rusolo

“Senza cultura e la relativa libertà che ne deriva, la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla. Ecco perché ogni autentica creazione è in realtà un regalo per il futuro.”

Scrivo prima che il festival della canzone italiana si concluda, c’è davvero talmente tanta carne sulla brace, che risolvere la questione su chi possa nella giornata di sabato guadagnare il podio è poca cosa rispetto al contesto generale. Invitata ad una trasmissione di approfondimento sulle polemiche, che dalla notte dei tempi riguardano Sanremo, ho provato, nonostante le urla dell’interlocutore, a spiegare, che si tratta pur sempre di un evento molto più ampio, un contenitore che al suo interno presenta aspetti di spettacolo, che negli anni hanno anche prevaricato sia la musica, nel senso più stretto del termine, sia la gara tra artisti di varie generazioni.

Si tratta di uno spettacolo che tiene incollati allo schermo della tv generalista milioni di spettatori e che fa parlare di se pubblico, critica e stampa. Si sono costruite carriere ed altre sono state distrutte, ma ci sono punti che sono indiscussi ed indiscutibili e che a mio avviso vanno approfonditi. Primo fra tutti se non ci fossero le polemiche e gesti anche provocatori che senso avrebbe una manifestazione che dura cinque giorni e che raccoglie milioni di euro di sponsor, per cui si smuovono, case di moda, trasmissioni televisive e case discografiche?

La risposta mi pare alquanto scontata ed a dirla tutta, mi pare che i politici che se ne occupano lo fanno più per avere cinque minuti di visibilità che per altro, per dirla con una frase di mia madre ” si occupassero di cose serie!” Con questo non voglio dire che il Festival non lo sia, lungi da me, che lo seguo sin da bambina, e leggo tutto quello che si pubblica sull’argomento, il senso è più sottile, quell’evento interpreta e rappresenta su di un palco il sentire popolare, ciò che l’italiano medio vive ed ascolta tutto l’anno, e quando si è virato rispetto a questa rappresentazione plastica, abbiamo avuto cali di share vertiginosi.

Ora io vorrei che questo tipo di evento, indirizzasse l’italiano ad essere meno uomo ” medio”, vorrei che si spingesse ad orientare più che a subire l’umore del popolo, ma se non accade in politica figuriamoci nello spazio in cui si parla di canzonette. Il dato indiscusso è che si è provato a mescolare, con non molta sapienza momenti politicamente scorretti ad altri banalotti, si poteva fare di più è meglio, senza ombra di dubbio. La presenza delle donne è stata minima, ed anche la fase dei monologhi onestamente ha un po’ stancato, diventa residuale soprattutto se la collochi a fine serata, se il migliore lo fa peraltro un attore eccezionale che porta su quelle tavole un personaggio femminile, seppure trasmettendo parole dense di significato e che spingono ad una riflessione elegante, misurata ed empatica, il tutto viene come dire, sminuito nella sua reale portata.

Le parole sono contenuto e contenitore, ma per poter lasciare una traccia hanno bisogno di un contesto preciso ed efficace; per poter incidere realmente trasmettendo una variazione sul tema richiedono cambiamenti anche del supporto sociale e culturale in cui si innestano. Ecco perché io credo che se davvero si vuole cambiare l’ordine degli addendi di un sistema, che minimizza la cultura a fatto occasionale e sporadico, occorra trasformare completamente la scatola. Possibile che il discorso sia ridotto alle donne che sono un passo dietro o avanti, o che il tutto vada lasciato sempre nelle mani del maschio che decide? Dai siamo migliori di così, e se anche il Presidente della Repubblica nel suo discorso di apertura del secondo mandato sottolinea il valore della bellezza e della meritocrazia, forse, forse, uno sforzo in più lo si può fare.

Per il resto le provocazioni di qualche artista che ha una canzone debole, sono questo, provocazioni per attirare le attenzioni del pubblico che altrimenti sbadiglierebbe, niente su cui valga la pena soffermarsi. Il dado è tratto ed io credo che questo Sanremo sia un punto di passaggio verso un Paese pronto a delle vere rivoluzioni culturali, perché stanco di lottare con discriminazioni, con assenza di mutamenti; stanco di doversi giustificare per quello che si è o per quello che si ha voglia di essere; stanco di non poter vivere come crede, nel rispetto degli altri e della propria intelligenza o valore. La conoscenza non è una cosa di cui doversi vergognare è un elemento che arricchisce chi la possiede e chi è intorno, perché non è mai egoistica o lucrativa, non si crogiola nell’idea dell’Io sugli altri, non schiaccia, crea libertà, umanità senso della misura ed emancipazione.

Per cui aldilà di tutto io credo che davvero possiamo fare un piccolo passo verso un miglioramento che è già nelle cose, è già fiore che emerge dalle pietre dure dell’asfalto, è bellezza che non si contiene, straripante, serena, forte, superiore alle brutalità della banalità. Ecco, possiamo andare oltre la banalità del quotidiano di chi vive urlando. Possiamo farcela. Siamo pronti e pronte.

“Fare dono della cultura è fare dono della sete. Il resto sarà una conseguenza.”

P.S. Ci vediamo lunedì a mente fredda con una pagella su canzoni, canzonette ed abiti.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.