Perché, perché, perché…

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di Claude De Bray

Non smetterò mai di pormi domande e non smetterò mai di cercare una risposta.

È questo che mi ha sempre accompagnato nei miei viaggi dove ho conosciuto popoli, visto vallate e terrazze coltivate e incontrato persone straordinarie.

Non ho mai smesso di chiedermi da dove venivano, quale fosse la loro cultura, le origini, le tradizioni.

Perché quella terra si chiama Quisqueya e perché quella terra si chiamasse Ushuaia e perché in Cina ti salutano con un pugno avvolto nell’altra mano e in altri a mani giunte.

Perché, perché, perché…

Mentre cenavi c’erano monaci chiusi in enormi campane di pietra che per 21 volte pronunciavano una antica sillaba in sanscrito definito il sacro Aum che ha differente interpretazione nel buddismo o nell’induismo. perché uomini ruotano in una danza per giungere all’ascesi.

Chi sono questi uomini che siano monaci o dervisci ( monaci mendicanti ) che ricercano la perfezione in una sillaba o nelle geometrie e chi sono questi semplici uomini, manovali, che vengono chiamati shawashi, che profondono tanto amore mentre spazzolano un Shashia e sembrano compiere gesti e riti a loro sacri.

Perché esiste questo cappello, da cosa ha origine e perché è diverso dal Fez, dal Kufi o dal Kefiah.

Perché, perché, perché…

Una donna nasconde il viso mentre provo a fotografarla, mentre un’altra mi conduce nel suo villaggio per gioire della morte di un vecchio e nella miseria mi trattano come fossi un re.

Perché un uomo mi guarda mentre osservo, meravigliato, gesti antichi e mi conduce in una sala da tè per una lezione di storia, un altro mi dona la sua tunica per mostrarmi templi meravigliosi sorvegliati da scimmie irriverenti, templi posti in cima a montagne raggiungibili solo per mezzo di ponti sospesi ed infiniti gradini da fare con una sacralità a me sconosciuta.

Perché tra miliardi di persone ho incontrato donne che mi hanno amato come un figlio sia pur per pochi attimi, ragazzi senza scarpe che mi hanno trasportato attraverso l’Isla bonita ed ho conosciuto storie di poeti come Arenas e ascoltando musica al Gato Tuerto e scoperto cosa era ed il significato e l’importanza di un posto che si chiamava Buena Vista Social Club.

Perché, perché, perché…

Tra milioni di persone loro mi hanno scelto per mostrarmi la povertà e l’inganno, la conoscenza e la tradizione, l’orgoglio dei popoli, le usanze ed il rispetto.

Perché mi hanno condotto tra cascate mormoranti e foreste di pietra raccontandomi antiche leggende e dalla Mesopotamia sono giunto a Petra e da Cancun fin sulle Ande e da Sfax sono giunto Marrakech passando tra laghi di sale rosa e palmeti, ho visto i camini delle fate in Cappadocia.

Perché un uomo mi condusse al tempio di Borobudur e sul lago Batran e perché dopo il combattimento dei galli il sangue viene raccolto per essere posto fuori ai templi.

Perché, perché, perché…

Ho conosciuto popoli meravigliosi per poi vivere questa vita così lontana da quegli insegnamenti… ed ora, dopo tanta bellezza, sono relegato ad osservare passivo, inerme, la consacrazione degli eventi nefasti, di abomini, di cui solo l’uomo ne è capace, un mondo dove la guerra non è mai cessata, agli antipodi di quel mondo che ho visto, sognato, a cui non ho intenzione di rinunciare, agli antipodi di quanto mi hanno insegnato donne ed uomini di popoli straordinari.

Perché, perché, perché…

 

Nato a Napoli non ho frequentato scuole degne di tale nome. Al compimento dei diciott’anni dopo il conseguimento del diploma sono subito stato assorbito dal lavoro soprattutto per motivi di sostentamento precludendomi la cosiddetta “Laura”. In compenso ho la laurea della strada, un master in sopravvivenza e vivo tutt’ora di espedienti. Amo leggere più che scrivere ed avendo raggiunto un’età che mi concede il lusso di dire ciò che penso non percorro strade che conducono al perbenismo bensì all’irriverenza. Non amo molto questo tempo e la conseguente umanità per cui sono definito un misantropo; ciò non toglie che la solitudine non precluda l’essere socievole e come tutti i solitari le persone le scelgo; il resto le guardo da lontano, senza avvicinarmi troppo. Se è vero che ogni mattina ognuno di noi fa una guerra per combattere il razzista, il moralista, il saccente che vive in noi, non ho alcun interesse nello scoprire che qualcuno questa guerra l’abbia persa e dunque la evito. Il resto sono cazzi miei e non ho intenzione di dirvi altro altrimenti, come Sanguineti, dovrei lasciarvi cinque parole che vi assicuro non vi piacerebbero.