Prima della bufera…

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di Maria Rusolo – Immagine Enki Bilal 

” Fa caldo, sola alla fermata dell’autobus, il sudore mi bagna gli abiti e si mescola alle mie lacrime”

Mia madre mi stringe la mano, così forte che non sento più le dita, ma siamo alla fermata dell’autobus per cui credo che andremo in città e mi comprerà il gelato con la panna, per cui mi sento tranquilla. Poi però ricordo che detesto l’odore degli autobus, mi si attacca alla pelle, ma vale la pena, qualche ora in giro mi farà bene.

Mamma è strana non parla, stringe la cintura della borsa di cuoio e sembra persa nei suoi pensieri, ha il viso rosso e gli occhi lucidi, ma a quello sono abituata. Ancora una volta ieri sera l’ho sentita gridare, mentre mio padre colpiva, ma lei non cede mai, anche se mi nascondo con la testa sotto le lenzuola, so che lei non gli darà mai l’ultima parola. Mi sembra però spaventata e mi chiedo dove sia mia sorella. Mentre mi perdo in questi pensieri eccolo arrivare blue e brutto il pullman, continua a stringermi e vorrei dirle di lasciarmi salire da sola, ma lei mi trascina, come se temesse di perdermi ed allora continuo a vagabondare nella mia testa senza dire nulla.

Il viaggio per fortuna dura poco ed una volta arrivate, mamma sembra essere più rilassata, non so precisamente dove mi stia portando. Non è la strada che facciamo di solito per il gelato o la zeppola, non conosco quella zona. Entriamo in un portone di un palazzo bianco, con un ingresso invaso da odore di chiuso e cipolla. Io detesto la cipolla. Saliamo le scale, mia mamma detesta gli ascensori, le consegnano un senso di oppressione, forse penso ha paura di non avere vie di fuga.

Mi balena il sospetto che mi tocchi qualche visita medica, ma una volta entrata in un appartamento vengo lasciata su di una sedia ad aspettare, da sola, mentre lei sparisce in una stanza. Ingoio a stento la saliva, i pantaloni di cotone azzurri e bianchi mi si attaccano alle gambe. Trattengo il fiato e mi guardo intorno, peccato non avere niente da leggere con me, ora mi tocca inventarmi un gioco.

Chiudo gli occhi ed immagino di essere Lady Oscar e di combattere, ho finalmente i capelli lunghi, come li desidero, ma continuo a vestirmi da maschiaccio. Credo di essermi persa nel mio sogno o addirittura appisolata, mentre aspetto, l’orologio dei puffi mi dice che sono passati 60 minuti. Mamma arriva è più calma e l’accompagna un signore alto e con i baffi. Mi dice che è un avvocato. Cavolo, penso chissà come sarebbe fare l’avvocato. Mamma sorride e guardando quel signore gli dice che parlo tanto e che ho risposta la pronta forse da grande sarei un ottimo avvocato.

Sono confusa, ma poi al momento di uscire afferro tutto e penso al Film che abbiamo visto al Cinema, mamma vuole divorziare e la cosa non mi spaventa, non capisco bene il senso, ma non ho paura, mi attraversa il suo sospiro di sollievo ed allora le sorrido. Poi arriviamo al bar e mi passa la zeppola, lo zucchero mi si scioglie sulla bocca, su cui passo la lingua, la assaporo lentamente, mentre lei prende il caffè e mi sento felice.

La guardo piccola e decisa, con le mani grandi e bianche di chi ha la forza per sorreggere qualunque cielo, le sfioro la gonna liscia, scura come la notte, mi passa la mano nei capelli, è lì in quell’istante tutto il mio mondo ed ovunque sarà io sarò con lei.”

” Sento o meglio non sento, è silenzio intorno, provo ad annusare la quiete per qualche istante, prima della bufera.”

Non sono impazzita, ma ho cominciato finalmente a scrivere il romanzo della mia esistenza e volevo solo regalare a voi amici miei un piccolo estratto, sperando siate clementi.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.